A tu per tu con un editore che si riscopre scrittore

La cosa bella è che mi ero proposto alla redazione per curare una serie di articoli legati ai libri e alla letteratura. La cosa ridicola è che avrei dovuto scrivere il primo articolo a metà dicembre e che il colossale ritardo nel proporre il primo pezzo è dovuto al fatto che mi sono reso conto di essere stato un tantino presuntuoso nel volermi occupare di letteratura, che mi pare essere una cosa enorme. Chi ti credi di essere? mi sono detto. Nessuno, mi sono risposto.

Per fortuna in mio soccorso, a gennaio scorso, è nato Il Circolo dei Lettori di Andria, che si muove molto nel mondo del libro e della sua promozione, e che ha ideato un ciclo di incontri con gli scrittori denominato, appunto, Incontri D’autore; dopo aver ospitato Paolo Nori e il suo Manuale Pratico di Giornalismo Disinformato, è stata la volta di Giulio Perrone, titolare dell’omonima casa editrice e autore de L’esatto Contrario, edito da Rizzoli, e mi sono preso la briga di fargli qualche domanda, e insomma, da qualche parte bisognava pur incominciare.

Giulio Perrone è alla prima esperienza da scrittore ma è uomo navigato nel settore dell’editoria essendo anche e soprattutto un editore. Com’è passare dall’altra parte della barricata?

Sicuramente è una cosa diversa e che attiva emozioni differenti. Va detto che la passione per la scrittura e per la lettura è precedente a quella per l’editoria, soprattutto perché ho avuto la fortuna, ai tempi della scuola, di avere come professore un grande critico letterario e critico jazz che è Walter Mauro che mi ha trasmesso la passione per il libro a tutto tondo; poi quando nel 2005 ho fondato la casa editrice ho messo da parte la scrittura perché mi sono dedicato completamente ai libri degli altri, che è la cosa che amo di più, però qualche anno fa è tornata la voglia di raccontare una storia e quindi, poi, mi sono voluto mettere alla prova anche in questo campo.

Come nasce L’Esatto Contrario?

 Lo spunto proviene dal passato del protagonista che si ritrova coinvolto in una storia che lo tocca da vicino perché una decina di anni prima, rispetto a quando parte la narrazione, era stata uccisa una sua collega di università ed era stato accusato un suo professore. Dieci anni dopo questo professore esce di prigione e muore in circostanze sospette. Da lì, Riccardo Magris si lascia coinvolgere in una ricerca, prima di tutto per la curiosità di capire cosa fosse successo a questa ragazza, con cui lui aveva avuto una piccola storia, ma poi questa curiosità si trasforma piano piano in una sete di verità per cui porta avanti questa indagine anche se un po’ goffamente. Va detto che quello che mi interessava più raccontare era come reagisce una persona che vive una sorta di precarietà esistenziale, non essendosi realizzata né dal punto di vista professionale né da quello personale, che vive in un eterno presente, posta di fronte a una prova che la vita gli pone davanti.

Quali sono i modelli letterari di Giulio Perrone?

Su questo devo dire che, ragionandoci, mi sono reso conto che gli scrittori che mi piacciono di più sono molto diversi nella modalità di scrittura. Penso ad uno scrittore che amo e che è Cormac McCarthy. Tra gli italiani mi piacciono Carlo Lucarelli, Maurizio De Giovanni, Massimo Carlotto, tutti molto diversi da me. Tra le scrittrici adoro Grazia Verasani. Quindi sono modelli vari. Credo che a tutti gli autori che ho letto negli anni, che ho attraversato, devo qualcosa pur non rendendomene conto. Durante la scrittura del libro, in qualche snodo particolare, chissà quale autore ti è venuto in soccorso per aiutarti a superare le difficoltà della scrittura. Per cui è più facile dire gli scrittori che si amano che quelli a cui si deve qualcosa. Credo che, alla fine, devi qualcosa un po’ a tutti quelli che hai letto.

Cosa cerca Giulio Perrone nella scrittura? Cosa cerca da scrittore e cosa cerca da editore?

Sono due cose vicine in fondo. Diciamo che nella scrittura la prima cosa che un autore deve cercare, e credo di averla cercata anche io, è la propria voce, cioè devi trovare il tuo modo diverso di raccontare una storia, perché è quello che, forse, fa la differenza, che ci fa amare o non amare uno scrittore. È una cosa che cerco anche da editore, però devo dire che da editore la cosa principale che cerco è il talento. Quello è il momento più bello per un editore, quando magari hai tra le mani un esordiente inedito e ti rendi conto che ha qualcosa di importante da dire. Quindi, dicevo, sono due cose in fondo vicine, da una parte c’è l’editore che ha scoperto il talento, dall’altra uno scrittore che ha scoperto la propria voce. Tra i due sta avvenendo qualcosa anche se forse ancora non lo sanno.

Ragionando per massimi sistemi qual è per te il ruolo della letteratura? Ne ha ancora uno?

Questa è una domanda tosta. Credo che la letteratura abbia sempre il compito, innanzitutto, di essere fedele a se stessa: raccontare storie di cui c’è la necessità che siano raccontate. Credo, inoltre, che la letteratura serva ancora a far scoprire lati sempre nuovi dell’essere umano.

Se dovessi dare tre consigli ad un giovane scrittore?

La cosa più banale ma che non bisogna mai finire di dire è quella di leggere, non si può pensare di scrivere senza essere dei grandissimi lettori. Gli scrittori che conosco personalmente sono tutti dei lettori straordinari. La lettura dei contemporanei è anche molto importante per capire cosa fanno gli altri scrittori attorno a te. Inoltre, bisogna essere sempre fedeli a se stessi, non pensare ad altro se non alla storia che si sta scrivendo. Per ultimo mi sento di consigliare di non essere schiavi dell’idea della pubblicazione, la pubblicazione è un mezzo, non è un fine. Il fine è quello di raccontare la storia a dei lettori e se si diventa schiavi dell’idea di pubblicare si finisce per scrivere delle cose non valide.