«Dare dà più gioia che ricevere, non perché è privazione,
ma perché in quell’atto mi sento vivo»
(Erich Fromm)
E non esiste regalo più grande di quello che possiamo farci, rendendo felici le persone che amiamo.
Buongiorno, signore e signori, benvenuti alla fiera dell’ovvio.
Eh no, chiedo scusa, riformulo: buongiorno, signore e signori, benvenuti alla fiera del vero!
Quando abbiamo le mani tese per prendere, possiamo dirci certamente contenti: raccogliamo, accumuliamo, portiamo a casa. È addirittura doveroso ammettere che sia bello, perché non farlo equivarrebbe a mentire e la menzogna è sottrazione. Sottrazione è mancanza, mancanza è dolore: mentre io parlavo di gioia.
Dunque la gioia: un pensiero gentile, un gesto gratuito, un oggetto inatteso, un sorriso inaspettato, un libro mai letto, un diamante prezioso. Ma anche un paio di scarpe, degli occhiali da sole, un maglioncino blu, una camicia elegante, l’ultimo ritrovato della tecnologia. Perché mai, riceverli, non dovrebbe farci contenti? Ad avercele persone che ci fanno caso, a conoscerla gente che passa davanti a una vetrina, ci pensa in un giorno qualunque, ci compra qualcosa e ce la porta; chessò, tieni questo ciondolo di latta, l’ho visto e ho pensato di comprartelo. Bellissimo, sarebbe bellissimo se accadesse più spesso. Sbaglio? Francamente non credo.
Eppure, eppure ciascuno di noi solitamente offre ciò di cui più ha bisogno e questo mi lascia pensare a quanto inestimabile sia un altro genere di regalo. Ogni volta che abbiamo necessità che qualcuno ci faccia star bene, possiamo scoprire che quella soddisfazione infinita e indefinibile risiede esattamente nella felicità che noi riusciamo a dare a chi speravamo ci rendesse felici.
Perché a volte è davvero quello ciò che serve: pensatevi mentre fate qualcosa per qualcuno e immaginatelo cantare nel vento, sulle note portate dal benessere seguito al vostro gesto. Qualsiasi esso sia stato: avete arrecato gioia, liberazione, felicità, fosse anche per un istante, a qualcuno.
Riuscite a percepire quale immenso senso di bellezza si prova? Quale appagamento? Quando togliamo una goccia di acqua dal nostro oceano e vediamo che quella goccia disseta chi volevamo non provasse più arsura.
Ma quella goccia al mio oceano serviva, potrebbe obiettare qualcuno.
Vero, risponderei in quel caso. Hai ragione, ma vuoi mettere la felicità che si prova donando, rispetto a quella che arriva prendendo?
Parlo di due sensazioni che stanno dal lato del bello, attenzione: non demonizzo nulla.
Solo dico che quando gli occhi di chi ami si fanno più piccoli per dare spazio ai muscoli delle gote che si fanno alte, spinte dalle labbra che sorridono a settordicimila denti, quando questa trasformazione nasce in qualche modo da noi e da qualcosa che abbiamo scelto di fare, dare o dire, quando abbiamo reso felice qualcuno, fosse anche a suon di rinunce, quando è così, chiedo: veramente si può dire esserci una gioia maggiore? Veramente qualcosa di diverso da questo può rendere dolci anche le più amare parentesi e meno spigolose le ragioni di qualsiasi sacrificio?
Io non ci credo. E no, non perché voglio essere ottusa o scontata, ma solo perché davvero non trovo corrispondenza con ciò che sento e, probabilmente, con ciò che sono.
E cosa sono? Ma come posso saperlo? Non lo so! So solo che quando chi amo sta bene, allora io lo guardo, mi sento bene e non mi importa niente del resto. Perché il resto non esiste.
E qui mi aspetto una possibile ulteriore rimostranza: e tu, tu non hai mai bisogno di una certezza o, per meglio dire, una carezza? Certo, sempre, continuamente, insaziabilmente. Siamo umani tutti… ma avete mai visto qualcuno capace di gioire senza essere stato ed essere contemporaneamente un mendicante?