Ti racconto se vuoi, una scrittura metafisica, un viaggio lirico: tra passato e presente, tra memoria e contraddizioni, alla ricerca della verità
A volte, anche gettare uno sguardo sulla propria esperienza di vita può essere un modo concreto di fare i conti con la rugosità del reale attraverso lo strumento della scrittura, se si ha l’obiettivo di raccontare la ‘fatica di essere uomini’; se poi, come fa Paolo Farina nella sua ultima raccolta Ti racconto, se vuoi (Andria, Etetedizioni, 2019), tale esperienza di vita viene interrogata come un viaggio, critico e lirico nello stesso tempo, ‘dentro e attraverso il limite’, si assiste quasi in maniera diretta, vivendolo sulla propria pelle di lettore, a questo scontro con la reale vita quotidiana. Non è del resto facile entrare nel vissuto di una persona con tutto il suo bagaglio di contraddizioni ma piene di speranze, solo alcune delle quali magari realizzate e molte rimaste sospese; lo è ancora di più se l’obiettivo è quello di ‘raccontare’ le peripezie di un uomo che consegna alla scrittura il suo pieno di verità, che vuole che abbiano un significato nel tempo prima per se stesso e poi per gli altri. Su tale binario scorre questa seconda tappa del percorso di Paolo Farina dopo Trenta giorni in racconti brevi; queste due opere sono entrambe pervase dalla speranza che l’arte ed il pensiero in generale, come diceva Ernst Bloch, possano rappresentare ‘la vittoria dell’eternità sul tempo’. Se si radicano sulle contraddizioni della vita, come viene ben chiarito nella seconda parte dal significativo titolo ‘Frammenti’, acquistano un senso più duraturo e nello stesso tempo si colmano di speranza, cioè offrono uno sguardo che tende ad altro.
Paolo Farina, nella prima parte di tale raccolta di racconti brevi, intitolata ‘La valigia di cartone’, offre al lettore un viaggio nel ricordo degli episodi infantili che hanno dato senso alla sua esistenza, periodo nel quale per ognuno di noi gioca un ruolo insostituibile innanzitutto la meraviglia verso la realtà che ci circonda; siamo così condotti per mano verso la scoperta di un mondo essenziale, duro e a volte tragico, ma vero, con un linguaggio limpido e privo di ogni tipo di retorica. Gli stessi personaggi (Rocco, Arturo, Federica, Iris, Maraglino, la maestra di scuola, la donna del prete…), pur visti attraverso l’inevitabile filtro dell’occhio di un bambino poi rivissuti e metabolizzati dalla successiva esperienza della vita, sono degli squarci di verità, convinti come sono, a dirla con Canetti, che la ‘verità è come un temporale che strapazza il cielo per un attimo e poi se va’; non a caso Farina sottolinea che ‘la verità non ha bisogno di essere capita né spiegata per essere vera’ perché scaturisce in primis dalla ‘sete’ verso di essa e poi si manifesta in tutta la sua pregnanza nelle contraddizioni della vita sino ad incarnarsi in esse.
Ogni pagina di quest’opera, prima attraverso la totale immersione nei personaggi che con la loro ‘resilienza’ hanno costellato l’infanzia di Paolo Farina e poi grazie alle considerazioni presenti nei ‘Frammenti’, sembra un accarezzare un lembo di verità, afferrarla per un attimo nella speranza di renderla più stabile attraverso la fatica del vivere, sia fisica che esistenziale; ogni personaggio pur sapendo che andrà via, ha dentro di sé la convinzione che il vuoto da essa lasciato prima o poi sarà ricolmato con un’altra esperienza possibilmente ancora più significativa, come nel frammento ‘Disperare è semplice’ dove si evidenzia il fatto che anche il morire è semplice, mentre il ‘vivere è fatica’ e lotta continua con la rugosità del reale col riprendere una bella espressione del poeta ungherese Emre Ady “come un Dio risplende l’Uomo che non vuole morire”. In tale universo di speranza, che è la molla della vita, acquistano uno spessore particolare il ricordo di persone care, le diverse situazioni esistenziali scandite dal tempo e le pagine che le descrivono sono piene dei loro sentimenti ed emozioni declinati liricamente; ogni pagina poi è in grado di dare il giusto rilievo alla bellezza incantevole della natura presa nella sua essenzialità attraverso i colori delle stagioni di cui ogni personaggio sembra viverne lo spirito più autentico sino a iniettarlo nelle vene dei più piccoli. Personaggi tratteggiati in maniera essenziale, rappresentanti ognuno un microcosmo di vita, Paolo Farina li fa poi crescere in un’altra non secondaria tensione, quella di vivere tra la limitatezza del tempo ed il sentimento dell’eternità, tra ciò che è mutevole e l’immutabile.
È proprio questo uno dei possibili significati della metafora della ‘valigia di cartone’, oltre a rappresentare quel doloroso fenomeno sociale dell’immigrazione dal Sud Italia verso il Nord e altri paesi europei che lacerò la popolazione meridionale, che alcuni dei personaggi hanno vissuto tra il ricordo delle loro terre e la necessità del lavoro senza lasciarsi sconfiggere dalla nostalgia e anzi tesi nello stesso tempo a qualcosa di più umano, a riscoprire le proprie radici senza lasciarsi sopraffare dal moderno; non è quello di Farina un tuffo nostalgico in un passato di cui comunque si sottolinea in maniera lirica la drammaticità, ma un modo per confrontarsi col presente, un viaggio collettivo tra presente e passato, dove attraverso la doverosa memoria del passato si vuole vivere più intensamente il presente con ‘la consapevolezza’ che questo tipo di saggezza così unica non può essere “mantenuta in età adulta”. Questa dialettica, fra il proprio passato di bambino che guarda con occhio metafisico al reale ed il passaggio all’età adulta contrassegnata dall’abbandono di tale attitudine, è poi lo strumento che permette a Paolo Farina di interrogarsi sul senso del presente, sulle sue contraddizioni, ma arricchito da una maggiore ‘consapevolezza’, ottenuta interrogando i propri errori frutto del vivere ‘dentro e attraverso il limite’.
Lo stesso stile adoperato, che si rivela più intenso nei ‘Frammenti’, si rivela essere lo specchio fedele dell’esperienza dei limiti del linguaggio che, pur obbedendo alle canoniche leggi sintattiche, comunque è proteso verso ‘l’oltre’ e in tal modo permette al lettore di aprire dentro di sé dei varchi con il loro portato di senso.
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Mi incuriosisce questo libro… Leggere quest’articolo sulla sua presentazione mi ha regalato un dolce sorriso, illuminato di speranza, nonostante “la rugosità” della vita che spegne lo sguardo metafisico del fanciullo (che è in me). Allo stesso tempo però, mi preoccupa trovarmi tra le mani un libro che, come voleva fare Walter Veltroni nel suo libro “Noi”, potrebbe essere l’ennesimo racconto della vita delle generazioni della seconda metà del ‘900 al fine di insediarvi culturalmente, le giovani storie delle generazioni più recenti, quasi appropriandosene.
Ma non penso, conosco la “folle” ricerca per la verità e la passione autentica dell’autore, acquisterò il libro e lo “divorerò”. Poi trarrò le conclusioni 🙂
Splendida recensione per un libro che merita di essere letto e apprezzato.
Ogni racconto è un input per riflettere,
per guardarsi dentro e interrogarsi in merito a tematiche importanti.
Il linguaggio diventa veicolo di emozioni e consente al lettore di immedesimarsi in alcuni personaggi con naturalezza e trepidazione, sperimentando il proprio
” limite” e accettandolo. La consapevolezza di potersi amare nonostante gli errori è un prezioso insegnamento di Paolo Farina, che affida ai lettori un testo denso di importanti riflessioni.