«La fantasia abbellisce gli oggetti e quasi irraggiandoli d’immagini care. Nell’oggetto amiamo quel che vi mettiamo noi»

(Luigi Pirandello)

Mantenendo la distanza mentre si guarda un’immagine si colgono gli effetti espressi e desiderati dall’artista. Avvicinando di più la vista se ne possono rilevare persino le piccole sfumature ed anche eventuali imperfezioni. Quindi è la distanza a velare, con un filo di “pudore”, come per nascondere la regressione, l’arretramento manuale di cui l’artista se n’è reso conto solo a lavoro compiuto.

Plutarco asserisce che, tutto ciò, vale anche con la vita e con la Storia. Di primo acchito lascia pensare alla posizione: ceca, sorda e muta delle tre scimmiette e, di conseguenza, alla “mafia”? Ma “disattivare”, rendere consapevolmente inattivi questi sensi, uno lo farebbe a scopo di paura, di convenienza oppure per disinteresse ai problemi da risolvere?

E dove lascerebbe, l’uomo, la propria curiosità, dal momento che si  contraddistingue come essere interessato, curioso e perfino invadente?

Contemplare un’immagine, un cielo, un panorama dal vivo, non è come farlo con un sogno, dove la personificazione, gli aspetti che ci giungono dai soggetti che appaiono e si volatizzano, sono momentanei e aleatori. Queste sono somiglianti alle forme create dai vetrini di un caleidoscopio che assumono prismatiche e differenti immagini: accade ogniqualvolta si fa ruotare il tubo che li contiene. Risultano immagini sempre differenti, per via della posizione che assumono i frammenti dei vetri colorati, nel cilindro. Un po’ come i casi della Storia e della vita appunto, dove i “vetrini” sono fragili uomini, siamo noi.

Mentre il sogno è un fatto vago, indeterminato, impreciso, passivo dal punto di vista dell’impegno di chi sta sognando. Dico sognando. (Accade quando si dorme. Quando si verifica da sveglio significa che si sta fantasticando, vagheggiando con la mente). Invece mirando, vivendo il reale, si è consapevoli di ciò che impegna la vista e gli altri sensi, impossibili da smentire.

Considerando il quadro dell’insieme, potremmo farne equilibrio o squilibrio a seconda la spaziatura che si darebbe tra la fonte visiva e il soggetto. Questo ci porterebbe a conclusioni azzardate qualora la fonte visiva risultasse molto distante dal soggetto: tanto distante da non coglierne i dettagli. Mentre sarebbe oltremodo azzardata una vicinanza stretta, dove si potrebbero cogliere particolari, non pensati ma evidenti da innescare dei pareri negativi sul conto del soggetto in esame.

La Storia a volte si ripete coi suoi errori poiché è il tempo trascorso a farne distanza oggettiva e a creare una patina sui ricordi della memoria, tanto da renderne sfuocate le immagini e gli errori commessi.

La nostra vita, con la Storia, corre su binari paralleli e, di conseguenza, segue gli stessi itinerari e le medesime mete. Non a caso si usa dire di aver perso l’occasione, il treno per partire, quando alla distanza da affrontare non si è pensato di fare attenzione al tempo esatto per salirci e affrontare il viaggio. Qualcuno direbbe che dopo un “treno” ce ne sempre un altro. È tanto vero quanto inverosimile. Si provi a pensare alle occasioni mancate che hanno fatto la Storia e quella della nostra vita appunto.

Non sempre, però, l’occasione mancata può risultare negativa, questo si verifica qualche tempo dopo e che ci dice con precisione se quel “treno” perso sia arrivato o si sia fermato per strada…

È l’immagine che si rivelerebbe a noi nella sua interezza, fin nei piccoli particolari: con gli errori causati dalle nostre “pennellate” se solo mantenessimo la giusta distanza mentale ai vari passaggi della nostra storia e della nostra vita.

È così che: del nostro vissuto, il “nostro insieme”, soltanto il tempo può darcene, merito o demerito sulla restante immagine di fine opera.

«Tutti gli uomini sognano: ma non allo stesso modo. Coloro che sognano di notte, nei recessi polverosi delle loro menti, si svegliano di giorno per scoprire la vanità di quelle immagini: ma coloro i quali sognano di giorno sono uomini pericolosi, perché possono mettere in pratica i loro sogni a occhi aperti, per renderli possibili, a tutti i costi»

(Thomas Edward Lawrence)


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Salvatore Memeo è nato a San Ferdinando di Puglia nel 1938. Si è diplomato in ragioneria, ma non ha mai praticato la professione. Ha scritto articoli di attualità su diversi giornali, sia in Italia che in Germania. Come poeta ha scritto e pubblicato tre libri con Levante Editori: La Bolgia, Il vento e la spiga, L’epilogo. A due mani, con un sacerdote di Bisceglie, don Francesco Dell’Orco, ha scritto due volumi: 366 Giorni con il Venerabile don Pasquale Uva (ed. Rotas) e Per conoscere Gesù e crescere nel discepolato (ed. La Nuova Mezzina). Su questi due ultimi libri ha curato solo la parte della poesia. Come scrittore ha pronto per la stampa diversi scritti tra i quali, due libri di novelle: Con gli occhi del senno e Non sperando il meglio… È stato Chef e Ristoratore in diversi Stati europei. Attualmente è in pensione e vive a San Ferdinando di Puglia.