La coerenza è restare umani…

Dei coerenti ormai ho paura.

Cum-haerere: stare tutti d’un pezzo, eretti e marmorei, fissi nel molteplice, cangiante, incoerente mondo degli uomini. Il coerente, nel costante e immane sforzo di non cambiare, resta al sicuro nella roccaforte di opinioni incontrovertibili e di modi raffinatissimi. Difatti raramente si arrabbia, non vuole sembrare cattivo; eppure nei toni troppo melliflui spesso si nascondono le insidie peggiori.

 

I coerenti non mi piacciono.

La loro rettitudine mi inquieta: quello stare ritti, faticosa conquista dell’homo sapiens, diventa spesso un pretesto per elevarsi sopra tutto e tutti e una scusa per coltivare l’apatia, il distacco dalla carne della storia e dei fratelli che richiede sempre uno sporcarsi le mani su più fronti, un discernimento continuo delle proprie idee, un approfondimento coraggioso del proprio presunto sapere, una presa di posizione netta e contemporaneamente una disponibilità ad abitare le sfumature.

 

I coerenti puzzano di chiuso.

Il loro mondo è una stanza soffocante dove il massimo dei punti di vista è espresso a partire da piccole finestre, tirate a lucido eppure sempre chiuse, abbellite di costosissime tende eppure sempre misere. Perché la miseria più grande è trattare le visioni parziali come teorie universali, le proprie cosucce quotidiane come affari urgenti di fronte ai quali l’altro appare sempre un ostacolo da aggirare, un’incombenza da rimandare, una domanda da soffocare. Il coerente, in effetti, è molto preso da sé e non potrebbe fare altrimenti: un attimo di distrazione e…patatrac! Si accorgerebbe dei propri errori e del dovere di relativizzarsi; di non essere questo granchè insomma. E qui certamente crollerebbe. Come già crolla di fronte ad una critica aperta e spassionata, magari da parte di un volto pulito e semplice che gli ricorda che la bontà non è monopolio suo, e che ha ancora tanto da imparare, e che sbaglia molto più spesso di quanto pensi.

 

I coerenti hanno fame di onestà, solo di quella.

Del pane possono fare a meno, così come del sonno e della bellezza delle cose più inutili e vitali: un sacrificio di tempo nell’idolatria del lavoro totalizzante, o l’accordo dissonante di un gesto di tenerezza inedito nella partitura monotona della propria giornata. Il coerente si sente così sicuro della sua onestà che va avanti come un treno, solo avanti, d-ritto per la propria strada, magari calpestando i diritti e le aspettative degli altri, magari giustificando certe grosse, grosse mancanze con l’immagine di sé, con l’impellenza degli impegni e con l’insostituibilità del proprio operato. Nemmeno di fronte al dolore altrui il coerente si ferma ad ascoltare: nulla sarà mai al pari della sua sofferenza, per cui avrà sempre qualcosa in più da insegnare e stralci di ego da sbandierare.

Il problema è che tutta questa coerenza a un certo punto non basta. E semplicemente perché non esiste. La coerenza, difatti non si dice: al pari di onestà, umiltà, bontà, libertà, amore e di tutte le parole più belle dell’uomo è da usare con la massima cautela. Anche perché dire certe cose di sé implica uno sforzo di elevazione talmente grande e folle che facilmente si perde il contatto con la propria fragilità. Il fragile s’infrange, non sta eretto; ma proprio nel piegarsi, da apparente perdente, per entrare nell’altro abita la sua forza. È la forza del salice piangente che sopravvive al vento perché si piega senza timore di apparire debole, mentre l’albero robusto si spezza nella testardaggine di dover resistere, resistere, resistere.

Il vero homo erectus non conosce che un modo di conservarsi coerente: aprire le finestre del sè e curvarsi sui bisogni dell’altro, contaminarsi delle sue povertà per prendere contatto con le proprie, infrangersi in mille pezzi per crescere sempre meglio. Non a parole, non con un post su facebook sul quale si dichiara innamorato dell’umanità e contrario al politico di turno che non ha a cuore la sorte della gente in mare, quando poi nel mare della sua quotidianità è il primo a dimenticare la gente a lui più prossima, giustificandosi con la propria vita impegnata, immolata sull’altare di un mondo bisognoso di buoni esempi. Quell’altare dove ad offrirsi e ad adorarsi c’è lui solo.

Coerenza è mantenersi umani. Per cui la coerenza non si dice. Mai.

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