VANNO BOLLATI SENZA ESITAZIONE E SCONTI, PERCHE’ NON ESPRIMONO LIBERTA’ DI ESPRESSIONE O DI RICERCA, MA SEMPLICEMENTE EVIDENZIANO INFANTILISMO E REPLICANO BIECA SUDDITANZA VERSO LA PUBBLICITA’ ED IL DEVASTANTE, DISUMANO SISTEMA ECONOMICO CHE L’ALIMENTA.
Gestisce da oltre un lustro l’intero Paese, l’uomo della provvidenza, poderosa mascella, voce roboante, sguardo mastino, responsabile per un ventennio, con la complicità e l’indifferenza di molti, di atrocità, devastazioni, censure e sofferenze inaudite.
Di ritorno dalla scuola Lina, una bimbetta di Barletta, è intenta a disegnare asticciole, vocali e consonanti, intingendo il pennino in uno scheggiato calamaio di terracotta appoggiato sulla sbilenca buffetta, zoppo tavolinetto di legno. Dalla stalla sottostante risuona il raglio della preziosa mula di famiglia che saluta, appena arrivata dalla pila pubblica, la convivente capretta, il cui belato di risposta “fraterno al mio dolore”, per Umberto Saba, intenerisce il cuore.
Come di consueto, Nicoletta, sua madre recita il rosario, volgendo devotamente gli occhi al cielo. Si apre la cigolante porta, e mette piede in casa, con scarponi chiodati, Giuseppe, suo padre, arrancando, dopo una estenuante giornata di fatica nel podere a ridosso dell’Ofanto. I suoi pantaloni, vistosamente rattoppati.
Solleva la testa dal quaderno, Lina, sgrana i suoi grandi occhi, e, alla vista delle misere condizioni paterne, una amara consapevolezza fa irruzione nella sua testolina: “La mia famiglia è povera!” Non si piange addosso, la piccola, né impreca contro la mala sorte. Si alza di scatto e si fionda al secondo piano, dove abita e lavora con ago, ditale, forbici e stoffe, un’amabile comare.
“Graziella, se mi insegni a cucire, ti terrò in ordine la casa, mentre tu confezioni vestiti” sussurra con quel grazioso visetto sul quale splende un sorriso ammaliante. Accondiscende, la sarta, e Lina dopo un anno di pratica può guardare con occhi compiaciuti e sereni i suoi laboriosi genitori. Indossano ora indumenti integri e decorosi confezionati dalle sue manine di fata che li hanno intessuti con fili di amore.
Seconda decade del terzo millennio. Sul treno, al mercato, all’ambulatorio, in ogni dove, gli occhi cadono su corpi di giovani donne ed aitanti ragazzi fasciati da blue jeans che esibiscono orgogliosamente strappi, rattoppi, tratti di claudicante ordito, fasce di discontinua trama, lembi di stoffa svolazzanti, sfilacci bighellonanti.
Commenti della gente? Di vario tenore, colore e calore. “Persino gli zingari ed i migranti, da poco approdati, vestono più decentemente.” “Fanno proprio schifo!” “Non mi vestirei in questo modo neppure per tutto l’oro del mondo!” “Se provassero la vera povertà, rifuggirebbero da simili tentazioni.” “Vogliono essere trasgressivi, ma sono smaccatamente subalterni al consumismo.” “Come li invidio, sono proprio carini! Ma… mia madre mi concerebbe per le feste, se mi vedesse così malridotta.” “Mi complimento con loro. Che coraggio! Sono proprio creativi.”
Voci di diretti interessati: “Mi piacciono questi pantaloni. Tantissimo. Sono eleganti, comunicano fascino e stile. Costano appena trenta euro. Sa? Alcuni capi superano anche i duecento, ma non posso permettermeli, purtroppo-” oppure “È la moda, e bisogna seguirla, altrimenti vieni emarginato. Ne ho degli altri a casa, ancora più sbrindellaaati.” Ampio sorriso di compiacimento. “Ho postato le foto su fb. Non si contano i “mi piace” e le condivisioni. Anche di gente che non conosco.”
Qualcuno fa riferimento alle tele del pittore Lucio Fontana, forate con un punteruolo o lacerate di proposito per determinare la contaminazione tra lo spazio dell’opera e quello dell’ambiente che lo circonda, tradizionalmente separati. Naturalmente, Fontana è spinto dall’esigenza di sperimentare nuove forme espressive. Senza prevederlo, poi, il valore commerciale delle sue produzioni artistiche monocromatiche è schizzato alle stelle.
Si blatera nei talk show: “I gusti sono gusti, e vanno rispettati”. “Quali gusti e… di chi?” Replicherebbero voci di quanti non si lasciano incantare dal pifferaio di turno. Ed aggiungerebbero: “Gli interessati si rendono conto di essere eterodiretti? Il loro ingenuo ed affettato agire non manifesta libertà di espressione o di ricerca, come si illudono di esibire e li riduce al ruolo di marionette nelle mani della pubblicità e dell’affaristico sistema economico che l’alimenta.”
Come nella favola di Andersen “I vestiti dell’imperatore”, tanto per cambiare prodotti, spesso sono i piccoli come Lina, con la loro spontaneità, resilienza e voglia di reale emancipazione ad indicare la strada, quella maestra, a chi non sa dove andare o semplicemente l’ha smarrita.