Due giorni prima della Pasqua non è stato ucciso Gesù in quanto Gesù. È stato ucciso un innocente in luogo di un assassino, in preda alla corruzione dei più e alla viltà di uno…

Che oggi serva per ricordare che la nostra storia, di uomini e non necessariamente di cristiani, è fatta del sacrificio di moltissimi altri uomini.

Che oggi serva a ricordare che è esistito un Cristo storico, non ad ogni costo un Dio (ma un uomo come lo è stato un Kolbe “qualunque”), che è morto in croce al cospetto di un assassino lasciato libero dalla corruzione dei più e dalla viltà di uno, peraltro profondamente cosciente delle sue azioni.

La storia è così, fatta da corsi e ricorsi, andrebbe patita più che studiata, letta e compresa.

Patita da noi che dovremmo smetterla con il nostro proverbiale buonismo, la nostra rinomata commiserazione e dovremmo renderci capaci di sentire il dolore che non è stato nostro, che non è nostro, ma solo perché nessuno ci ha dato un cazzotto dritto in faccia.

Sentirlo quel cazzotto, che è la crocifissione di chissà quanti altri uomini di cui non è dato conoscere il nome, il mare che vede annegare, i cieli che vedono bombardare, la terra che vede morire, le culture che vedono uomini lasciarsi saltare per aria.

Oggi, tralasciando la precisione delle date, prima di tutto, è stato ucciso un innocente!

E vale per tutti gli innocenti del passato, per tutti quelli del presente e per tutti coloro che lo stesso continueranno a subire nel futuro. Perché noi non impariamo, figliastri della superbia. Viziati dall’ego. Fuorviati dalle dottrine!

E mentre scrivo, sta morendo un uomo di mia conoscenza, lontano da me oltre 1200 km, come del resto lo era anche quando stazionava ad una distanza di cinquanta centimetri.

E ancora mentre lo dico, è squillato il mio telefono. Quell’uomo è morto. Con lui muore qualcosa che mi appartiene, a causa sua resta ancora in vita la parte peggiore di me.

Inclusa quella che non riesce a non essere così profondamente nauseata da quanto dicevo poc’anzi e dal suo stesso specchio.

Uno specchio che mi porta dritta dritta ad un’esclamazione che chi mi ha insegnato la storia (un esperto della materia, sacerdote) fece durante una lezione, estraniandosi con lo sguardo per un attimo. Un attimo che non dimenticherò mai: “che schifo l’animo umano”.

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Fontehttps://commons.wikimedia.org/wiki/File:Munk%C3%A1csy_Golgota.JPG
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.