Più che nelle statuine, il presepe lo si incontra nei poveri: così è stato per Francesco

Tanti pensano ai santi come a persone beate, contente e privilegiate, in un mondo tutto loro, con poteri unici. Basti pensare a san Francesco, idealizzato, poeticizzato, spiritualizzato, con la presunzione, a causa di tradizionalismi che non sono passati dal vaglio della critica storica, di conoscere la sua storia.

Tutti sanno che Francesco era partito per le crociate, ma poco si sa sulla sua delusione dei crociati i quali non lo ascoltarono e trovarono la morte a Damietta (1219). Anche l’incontro con il Sultano così poeticizzato ed esaltato, in realtà non ha portato risultati di conversione che il santo desiderava.

San Francesco investì molte energie per le missioni in varie parti del mondo che portarono pochissimi frutti. Nella missione in Marocco, cinque suoi frati, a Marrakech, trovarono la morte (16 gennaio 1220); sono loro i primi martiri francescani. La missione in Germania, con novanta monaci che dettero la disponibilità, fu fallimentare, organizzata malissimo, come del resto anche quella in Jugoslavia. Lo stesso Francesco non potette partire per la Francia, poiché bloccato,a Firenze, dal futuro Gregorio IX, La missione non andò bene.

Altra desolazione poi furono i suoi frati che, in sua assenza (1219-1220), avevano gettato l’ordine nel disordine. Lo stesso Francesco, nel buio interiore per l’incapacità di mantenere la comunione tra i frati, dolorosamente normalizzati a forme canoniche (1120-1123), vide ormai lontana la prima fraternità. La tiepidezza e sconvolgimenti sulla regola iniziale, il disprezzo sulla prima forma di vita, la non piena comprensione con i papi (Innocenzo III e Onorio III) e il cardinale Ugolino (il futuro Gregorio IX), la morte di Pietro Cattani (+1221), eletto da lui stesso successore dell’ordine e morto dopo un anno, la stessa divergenza di vedute con frate Elia, superiore dopo Pietro, gettarono l’animo del santo in un buio profondo, in una notte spirituale.

La semplicità e la purezza evangelica, che aveva affascinato circa tremila uomini, inducendoli ad abbracciare la sua vita, poneva problemi nuovi. Per amore della Chiesa e dei fratelli, Francesco lasciò ogni responsabilità, anche a causa delle sue molteplici malattie.

C’era  però una consolazione nascosta: gli ultimi di Greccio e il presepe. Come i romani rifiutarono la sua predicazione che invece fu accolta dagli uccelli più semplici (simbolo dei poveri e diseredati), come il lupo di Gubbio (figura dietro la quale sarebbe celata un ladro e assassino) gli dette gioia per una conversione insperata, così gli ultimi si infervorarono per il presepe di Greggio, donando grande gioia a Francesco.

Il poverello, ormai ammalato, dimenticato da tanti dei suoi, non compreso pienamente dalle gerarchie, immerso in un isolamento fatto di buio spirituale, trova grande consolazione nella povertà, essenzialità, semplicità degli ultimi che, con lui, celebrano il Natale a Greggio, nel 1223, rappresentando il mistero della Natività, per la prima volta, in un presepe vivente. La consolazione di Greccio troverá la sua conferma nel dono delle stimmate del 1924, fino al compimento di sorella morte, nella lode del “Cantico di frate Sole”, nel 1926.

Possano i desolati, come lo è stato Francesco, trovare nel mistero del presepe, ma più ancora negli ultimi e nei semplici, la consolazione che rinfranca il cuore, dopo le troppe desolazioni generate da chi ha deluso i progetti, le amicizie, i sogni e il cuore di chi ha sperimentato, la solitudine, la delusione e il tradimento. Più che nelle statuine, il presepe lo si incontra nei poveri; sono loro i pastori di oggi che hanno consolato la sacra famiglia e il serafico Francesco, coloro che possono consolare chi è nel buio. Sia questo il presepe e il mistero del Natale: la consolazione degli ultimi, come ultimo era Cristo, a portare luce nel buio dei cuori, soprattutto feriti e traditi.