Antonio voleva un mondo senza frontiere, senza gendarmi, senza passaporti, senza discrimini
Caro Direttore,
guardo le immagini da Trento, guardo i ragazzi che fanno corona alla bara di Antonio, i corazzieri e il presidente Matarella. La musica che sale al cielo del Duomo e la bandiera della nostra Europa scatenano un brivido che mi contagia: per una volta trovo che gli applausi a un funerale abbiano un senso. Trento è un luogo-simbolo con la sua Cattedrale romanica del XIII secolo, luogo che ha fatto la storia con il Concilio che rinnovò nel XVI secolo la Chiesa sconvolta dallo scisma di Lutero; Trento terra-cerniera fra il nord ed il sud dell’Europa. Il caso l’ha messa ancora una volta al centro della nostra storia, il caso atroce di un ragazzo che aveva scelto l’Europa come dimora e come ragione di vita e che è caduto martire del terrorismo islamico.
Antonio Megalizzi aveva scelto di essere europeo, non per necessità, non per casualità. Lo aveva deciso. Non gli bastata più Trento, non più l’Italia, Antonio voleva un mondo senza frontiere, senza gendarmi, senza passaporti, senza discrimini. Il suo antenato Cesare Battisti, deputato al Parlamento di Vienna, era salito sulla forca perchè i trentini fossero italiani, non austriaci, perchè quella terra si sentiva “italiana”. Un secolo dopo, la storia ha svoltato. Le patrie sono troppo piccole per reggere il confronto col grande mondo. L’Europa si offre come grande patria, le culture e le lingue si mescolano, i saperi si ibridano, il Continente diventa il luogo di sfide ideali, non più di trincee e di morti a milioni. I vecchi fanno fatica ad accettare la nuova realtà, e si possono comprendere le loro ragioni. I giovani no, perché loro hanno voglia di libertà e di sfide. I giovani vedono in Europa non soltanto l’opportunità di lavoro, ma sentono l’aria amica della cittadinanza e della meritocrazia, la possibilità di giocarsi le carte senza familismi, senza le forche caudine del ricatto quotidiano.
Nel Duomo di San Vigilio si è celebrata la grandezza di tutto questo. In prima fila, dopo Antonio, Sergio Mattarella, siciliano ed italiano europeista convinto senza dubbi, senza timori. Accanto, il premier Conte, che forse ha cominciato a capire che l’Europa può essere madre, se lo vogliamo. In ogni ordine di fila, i giovani, tanti, tantissimi, senza bandiere divisive, senza dubbi, con la consapevolezza che la loro sfida è l’Europa, è il mondo, in un momento assai buio della nostra storia, con Putin che paventa e minaccia allo stesso tempo una guerra nucleare che potrebbe estinguere l’umanità.
Gli applausi si mescolano alle note che inondano il Duomo e raccontano di una tragedia che va oltre i confini della nazione. Antonio è un martire della civiltà europea, il suo sangue non sarà inutile, come non lo fu il sangue dei cristiani perseguitati per la loro fede. Non sembri forte il paragone. L’Europa ha le sue radici nella cultura cristiana che si innesta e assorbe le culture graca e romana. L’Europa, che è stata luogo delle grandi cattedrali e orrendo teatro dello sterminio degli ebrei ottant’anni fa, può avere un futuro se vinceranno i giovani come Antonio, una speranza sotto cieli minacciosi dell’oggi.
(Non spreco inchiostro per ricordare che Salvini non c’era, e neanche Di Maio…).