Considerazioni su Corpo, potere e rappresentazione. Figure della sovranità tra teologia politica eantropologia,di Massimo Mezzanzanica
Una delle caratteristiche della ricerca filosofica degli ultimi decenni, grazie al fatto che da più parti essa viene avvertita come uno strumento non secondario per cercare di avere una visione meno frammentata della realtà che ci circonda, è quella di interrogare un problema da più visuali e di vedere come è stato affrontato in diversi settori a partire da quello scientifico, naturale sede di approcci pluriarticolati non riconducibili a punti di vista normativi; e questo perché sia pure a fatica, come diceva Gaston Bachelard negli anni ’30, si è compreso che ogni elemento veritativo acquisito è figlio ‘della discussione e non figlio della simpatia’, come del resto già i maestri greci ci avevano indicato. E dato che la riflessione critica si caratterizza, come è stato affermato da più parti, nel ‘dire il vero sul vero’, ogni fatto ritenuto tale deve essere il frutto di ulteriori verifiche, anche serrate, tese all’analisi delle stesse modalità con le quali è stato ottenuto con la coscienza che la ricerca comunque non ha mai fine, per usare una famosa affermazione di Karl Popper. A maggior ragione, come sta avvenendo in questi ultimi tempi, se poi il tema da affrontare è il corpo, oggetto di continue rivisitazioni critiche in diversi ambiti, sino a costituire il perno centrale di ogni sana antropologia perché sulla scia di Kant esso ‘costituisce la condizione assoluta della vita’ e ‘mediante il corpo l’uomo ha un potere sulla sua vita’; si segnala in tal senso il recente e articolato lavoro di Massimo Mezzanzanica, Corpo, potere e rappresentazione. Figure della sovranità tra teologia politica e antropologia (Milano-Udine, Mimesis 2020), rivolto a chiarirne il ruolo ‘nella rappresentazione e nell’esercizio del potere’.
Com’è noto, è venuto a crearsi nella ricca letteratura dell’intero Novecento, anche grazie al suo interrogarsi sulle cause che hanno portato all’avvento dei totalitarismi, un capitolo non secondario della stessa filosofia politica che ha messo al centro delle analisi le figure del corpo e le diverse posture concettuali da quella storica a quella antropologica e sociologica con l’arricchirne visuali e modalità di approccio; in tal senso vengono da Mezzanzanica interrogati i fondamentali contributi dati da Carl Schmitt, Michel Foucault, Claude Lefort, Marc Bloch, Ernst Kantorowicz, Arnold Gehlen, Helmuth Plessner, Jean Baudrillard e Pierre Legendre che da più punti di vista ci hanno fornito degli strumenti in grado di vedere quella che viene chiamata “una duplice accezione del ‘corpo politico’”. Da questo proficuo incrocio di prospettive e sensibilità diverse scaturisce una proposta ermeneutica, del resto irrobustita da precedenti lavori dedicati a Georg Misch, Dilthey e Levinas, che permette di vedere nel corpo da una parte il ruolo ‘metaforico’ assunto nel contesto più politico in quanto storicamente ha permesso di ‘rappresentare’ il potere e lo stato, di legittimarne la sovranità, e dall’altra nei singoli corpi degli individui luoghi privilegiati dove esercitare gli ‘interventi normalizzatori’ messi in atto dalla cosiddetta biopolitica, così come essa è venuta a configurarsi negli ultimi decenni anche in seguito all’impatto sempre più invasivo delle nuove tecnologie.
Con questa duplice chiave interpretativa, ma sempre finalizzata ad un discorso antropologico di più largo raggio, Mezzanzanica ripercorre i momenti storico-concettuali che hanno dato luogo per prima alla sacralizzazione del potere come espressione della volontà divina, dove il sovrano e lo Stato venivano fatti coincidere col corpus mysticum della Chiesa, sino allo ‘svuotamento teologico’ operato da Hobbes successivamente sulla scia dei lavori di Carl Schmitt, dove diventa centrale la metafora del ‘corpo politico’ dotato di una sua organica autonomia e dove la stessa mitica immagine del Leviatano viene vista nel suo ‘oscillare tra persona e macchina’. Si rivela poi molto proficua, per vedere una ulteriore discontinuità nella visione del corpo, la lettura del pensiero di Foucault interrogato in profondità per capire il decisivo passaggio ‘dal corpo oggettivato’ della tradizione sacrale ‘al corpo assoggettato’, reso possibile da quello che viene considerato ‘il mutamento dei paradigmi, delle norme e degli ordini che la vita produce’; la decisiva nozione introdotta dal pensatore francese di episteme e le sue importanti opere, come Le parole e le cosee Archeologia del sapere insieme con la Storia della follia e la Nascita della clinica, permettono a Mezzanzanica di vedere come lo ‘sguardo medico’, affermatosi grazie alla scienza moderna, inneschi un processo di sapere-potere dove il corpo viene a giocare un ruolo non secondario nelle dinamiche di assoggettamento attraverso il suo diretto controllo. Questo poi ha portato a quello che viene chiamato ‘investimento politico del corpo’ legato alla sua ‘utilizzazione economica’ e quindi alla necessità di instaurare, come ha scritto Foucault, una sorta di ‘anatomia politica’ dove il corpo politico è un insieme di elementi materiali o tecniche utili alle relazioni di potere per assoggettare i corpi umani e governarli.
Alla luce dei contributi di Foucault ma anche di quelli fondamentali sul potere dei simulacri di Jean Baudrillard, analizzato nell’opera Simulacri e impostura, e finalizzati a capire come essi ‘plasmano e modificano anche il corpo’ attraverso l’impatto dei media elettronici, Mezzanzanica analizza un altro importante mutamento che ‘porta il potere a diventare simulazione’; in esso si ‘mette fine al reale’ tipico di un mondo postmoderno dove il corpo con le estreme visualizzazioni lo rendono autoreferenziale, quasi ‘innestato su se stesso’ dove ad esempio si dissolvono i confini tra vita e morte e dove prende piede ‘una vera e propria biocrazia’, una diversa ‘cartografia della vita’, dove l’esercizio del potere si legittima in base alla ‘nuda vita’. Si arriva così a quella situazione indicata da Giuseppe Longo chiamata il ‘simbionte homo technologicus’, dove la tecnologia è qualcosa di strettamente legata al biologico con la possibilità di scenari inediti e imprevisti con tutto il loro corredo di rischi di un ‘riduzionismo informazionale’; in tal modo il corpo perderebbe la sua stessa centralità biologica sino ad essere manipolabile per ‘possibili trasformazioni e potenziamenti’ dove non ci sarebbe più posto per la contingenza e dove altre logiche come quelle economiche prenderebbero il sopravvento col decidere cosa sia ‘vita’.
Tutto questo porta Mezzanzanica a mettere sul tappeto la cruciale questione per ogni antropologia di quale sia la vita umana per far fronte alle stesse visioni riduttive e tecnocratiche in senso biopolitico delle istituzioni civili luogo strategico e ‘preposto alla umanizzazione degli individui’; in esse vengono a formarsi i legami sociali, si condividono dei valori con ‘l’appartenenza alla storia’ e con ‘l’accettare la complessità’, fenomeni che con le ‘loro zone d’ombra’ costringono a prendere atto dell’’irriducibilità dell’esperienza umana a modelli prestabiliti’, aprono a diverse campi di esperienza e permettono di ‘elevare l’esistente al di sopra della mera dimensione del valore d’uso’. Per delineare un diverso ‘orizzonte teorico’ in grado di affrontare ‘la questione del rapporto tra vita, istituzione e norma insieme a quella di un possibile umanismo’, vengono interrogati dei contributi dati in tal senso da Gehlen, Plessner e Legendre, autori che ci hanno offerto interessanti prospettive per ‘cogliere le radici antropologiche dell’istituzionalità’ per l’importanza accordata alla cultura e al linguaggio.
Tali prospettive sono considerate più in grado di cogliere in modo equilibrato la dimensione biologica dell’uomo, ‘senza cadere in una forma di riduzionismo naturalistico’ e ‘nei dualismi delle metafisiche tradizionali’ per l’importanza accordata al concetto di azione che comprende sia ‘il pensare, il conoscere e il volere dell’uomo’ che la sua fisicità sino a costituire un unicum; in tal modo le stesse istituzioni sono i luoghi dove attraverso il diritto possono concretizzarsi le aspirazioni umane più specifiche come libertà e giustizia, dove sulla scia di Plessner ci si deve confrontare con le condizioni di possibilità dell’ordine e dei suoi limiti per individuare le stesse basi della sovranità. Così un discorso sulla vita, sul corpo e sulla natura dell’uomo si tramuta in un’antropologia politica più articolata dove l’elemento di base è la presa di distanza da visioni riduzionistiche nel tentativo di capire la complessità e la specificità dei fenomeni umani che si caratterizzano per il fatto che si muovono sul ‘limite tra senso e non senso’, tra l’apollineo e il dionisiaco, tra ‘il limite e l’eccesso’ con la necessità di verificare confini e limiti stessi dell’ordine per evitare che diventi violento.
Su tali basi e indicazioni, riprese da Plessner, Mezzanzanica trova le ragioni teoretiche di fondo per ridare all’antropologia filosofica un ruolo nella società contemporanea, dove la riflessione critica sulla specificità dell’uomo si rivela essere uno strumento sempre più in grado di ‘sottrarlo a un’oggettivazione scientifica che può diventare reificazione’; nello stesso tempo essa è ritenuta un percorso dove ‘l’universitas del sapere’ non sfocia più in visioni teocentriche e gerarchiche, ma in un universo aperto, pluralistico e democratico anche perché aiuta a capire meglio che l’uomo è incompiuto e frutto continuo di diverse trasformazioni e, pertanto, orientato a ‘salvaguardare la libertà e la sua fragilità’. Così anche un discorso sul corpo che, secondo schemi di un pensiero basato su posizioni di natura semplicistica, lo vedeva ancorato a visioni deterministiche, ci ha messo di fronte a diverse posture concettuali in grado di rafforzare delle metodologie di ricerca orientate sempre più a prendere atto della complessità intrinseca di ogni reale, oggetto di attenzione e che se affrontato con mezzi più appropriati, risponde con voci polifoniche e a volte alte per non essere messo a tacere da percorsi normativi e di per sé ideologici.