
Una riflessione sul ruolo del papà nella società paritaria tra generi
La Festa del papà sia la giornata ufficialmente dedicata alla comune condivisione dei valori della continuazione della specie umana, della paternità biologica, genetica, sociale, etica, dentro e fuori dalla propria famiglia.
Sia una giornata dedicabile alla riflessione sul ruolo dell’uomo nella società paritaria fra i generi, in cui noi maschi non abbiamo bisogno di privilegi di tipo paternalistico per sentirci importanti, perché siamo fieri di unire sensibilità e goliardia, senso dell’onore verso le attività che coltiviamo e capacità progettuali – talvolta anche silenti – verso le lotte che vogliamo intraprendere, per affermare il modello di vita e di società che ciascuno di noi ha in mente, nel rispetto verso ogni creatura.
Ognuno è una patria nella propria vita.
Cosa sarebbe auspicabile? Magari una società correntemente libera, aperta, socioculturalmente, economicamente, esistenzialmente. Se tutto è vita ma non tutto è vitalità, la morte non c’è finché non arriva e non si deve far reato contro se stessi non ascoltando le proprie mutevoli esigenze interiori: il di fuori cambia, tutto si trasforma su di noi. Le mutate materie tacitamente assorte vivono il loro essere storia, e ciascun individuo non può non sentirsi parte di una storia, anzi storia egli stesso in prima linea.
Non si può bypassare il perché dei ruoli che abbiamo scelto nel rapporto con gli altri, singolarmente e col mondo, complessivamente. Nei “perché” dimora il senso del nostro concreto essere qui ed ora, immanentemente, effettivamente, senza bisogno di darsi pizzicotti da prova del nove per sentirsi svegli e vivere.
In seguito alla evoluzione dei rivoluzionarismi delle più giovanissime età ci riappropriamo del senso delle tradizioni, innovandole. Quando una estate vuol superare le barriere del suo circonflesso tempo per il successivo incontro con un io pensante post-estivo, ricordiamoci di godere – anzitutto – l’estate corrente della nostra identità.
Sentirsi uomini, sentirsi liberi; non acclamare nulla e nessuno. Inseguirsi, per inseguire se stessi, ciascuno il proprio se medesimo. La libertà dell’individualismo post-occidentalista e neolibertario dimora anche in questo appena descritto equilibrio psico-sociosensoriale dinamico.
Sentiamoci uomini veri, reali, per non cadere nelle trappole tentatrici di eventuali tempi a vocazione neoassolutistica. Ricordiamo ciò che una grande donna e studiosa ha consegnato alla memoria del tempo umano: “Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più” (Hannah Arendt, nata nel 1906 e morta nel 1975).
Da uomo voglio la mia protezione giuridica in quanto essere umano – e qui dimora il paritarismo – ma la voglio anche in quanto uomo di sesso maschile. Stessa cosa facciano le donne e difendiamo gli uni le ragioni dell’altra e dell’altro. Ognuno si senta libero nel rispetto di chiunque, verso ogni identità che vuole andare oltre i binarismi. Io pur progressista nella idealità, nella concretezza amo la tradizione e questo mio ruolo nonché mobile posto nel mondo lo vivo e lo leggo in chiave progressista, non conservatrice. Sì, tradizionalprogressista: progressista ma tradizionale; tradizionale evolutivamente progressista.
La direzione dello Stato non dismetta mai di perseguire, tutelare e assicurare adeguatamente ogni opportuna uguaglianza giuridica, a partire da chi è diverso da me. Se ciascuno proferisse questo “a partire da chi è diverso da me”, forse, e dico forse, il mondo sarebbe un pochino migliore.
E allora festeggerò la Festa del papà come la nuova Festa dell’uomo, come un nuovo progressista e post-tradizionale maschismo che sia diverso e contrapposto al maschilismo, al paternalismo, al machismo e alle ottiche stanche nonché brute di predominismo interpersonale.