«Fuori come un balcone, a mantenere l’universo»

(Eich)

Oggi ho iniziato la giornata tramortita, avevo fatto un brutto sogno; quando di notte scleri con qualcuno, la cosa più liberatoria sarebbe avere a tiro quel qualcuno durante la giornata, per vomitargli tutto addosso come se il malcapitato fosse colpevole pure di quello che combina il tuo inconscio e magari finire a ridere.

Così fosse, passerebbe, perché penso che delle cose brutte, vere o sognate (e il sogno comunque “parla doppio come i morti”, diceva mamma) si debba comunque parlare, per stemperarle, fosse anche solo per riderne. Ovviamente non è andata così nemmeno per sogno, non va mai niente così, nemmeno per sogno, a proposito di sogni.

Quindi sono uscita a metà fra l’avvilito ed il seccato, più o meno ignorata, visto che la fretta vince sempre, allorquando un’altra persona mi ha fotografato un angolo di strada, per dirmi che mi stava aspettando lì: ancora una botta di fortuna. Quell’angolo in altri momenti presagiva ben altri sviluppi: pensandoci, è quasi sempre stato un angolo di vita. Ricordo che quando scendevo dal nord, per esempio, ero io a fotografarlo: “Dante angolo Sagarriga” e mi sentivo a casa, viva a casa, quanto mi piaceva! Oggi non è andata così nemmeno questa: quella persona è salita in auto con me ed amen, come da accordi.

Poi a scuola… che fastidio! Musi lunghi da un lato, Madonne addolorate dall’altro, immaturità capricciosa a destra, idiozia distillata a manca. A ponente i nervi, a levante lo sconforto.

A fine mattinata qualcuno che normalmente è un vulcano, è passato rapidamente dal corridoio e mentre uscivo, guardandomi con le braccia pesantemente appese lungo il corpo, mi ha chiesto:

– Sigaretta?

– Quello che vuoi. Terrazzo? Ho rimbalzato indicando lo spazio aperto alla mia destra.

– Balcone, di là. Ha risposto, muovendo solo la testa.

E carica di borsa mi sono ritrovata in una di quelle scenografie fatte apposta per spezzare. Spezzare cosa? Qualsiasi cosa. Perché quando qualcuno ti si rivolge così, di fondo ti sta dicendo che basta, quale che sia la pista, si è ballato troppo. E soprattutto ti sta dicendo che non sei sola: meno male che qualcuno ancora se lo ricorda. Quei cinque minuti a volte valgono più di intere ore piene di parole e vuote di contenuti: in certi casi, veramente, un invito sul balcone cambia la vita. È proprio pazzesco. Ci avete mai fatto caso?

Che ironia pazzesca ha la vita. Suona, suona, suona… cerca accordi, arrangiamenti, note.

Ma dico io, chi se ne infischia più delle note: a forza di cercare quelle, si perde la musica. Un po’ come dice quella geniale pubblicità di un’auto: la differenza fra chi parcheggia e chi trova il suo spazio.


FontePhoto by Mediocre Studio on Unsplash
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.