Per una ‘epistemologia dal di dentro’
Su vari blog o giornali si dice a volte, a proposito di donne che hanno dedicato la loro vita alla ricerca filosofica, che sono più o meno ‘cinque le donne filosofe che dovresti conoscere’ e cioè Ipazia, Elisabetta di Boemia, Simone Weil, Hannah Arendt e Simone de Beauvoir con a volte l’aggiunta di Maria Zambrano; in tal modo non solo se ne dimenticano altre, ma si ritiene implicito che la filosofia si occupi quasi esclusivamente di questioni etico-politiche e si tralascia il fatto che ci sono al suo interno altri capitoli importanti che storicamente l’hanno caratterizzata, come la teoria della conoscenza sviluppatasi in seguito all’avvento della matematica, come diceva Platone nel Fedone e nella Repubblica. In più si perdono le connessioni implicite tra scienza, filosofia e democrazia presenti in maniera strutturale già in quello che è stato chiamato da più parti ‘il miracolo greco’, dove questo evento di verità è venuto a verificarsi per la prima volta nella storia; tenuto in debita considerazione, come nel caso di Kant, ha dato origine a dei percorsi critici pluriarticolati e non averlo tenuto presente ha dato origine, come ha detto Jean Petitot qualche decennio fa, alla ‘catastrofe razionale postkantiana’ con le due facce di una stessa medaglia, idealismo e scientismo, prospettive di pensiero di stampo assolutistico ed unilaterali che poi sono state a volte l’anticamera delle ideologie totalitarie.
All’’ingrato paese della filosofia della scienza’, come lo chiamava un giovane filosofo della matematica francese Jean Cavaillès e morto combattendo nella Resistenza per le diverse difficoltà che comportava un percorso del genere, hanno dato considerevoli contributi pensatori maschili più noti come Schlick, Carnap, Enriques, Bachelard, Canguilhem, Popper, Kuhn, Lakatos Feyerabend e Morin, solo per citarne alcuni; ma si sono distinte in tale disciplina, sviluppatasi nel corso del ‘900 col prendere in esame la struttura delle conoscenze scientifiche dalla chimica alla matematica e alla fisica, varie figure femminili quasi del tutto sconosciute come Hélène Metzger (1889-1944) (Odysseo, 20 agosto 2020) e Suzanne Bachelard (1920-2007) e Mary Hesse (1924-2016). I loro studi hanno avuto il merito di introdurre altre tematiche, come il ruolo strategico delle metafore nello sviluppo di una teoria, e soprattutto di allargare l’ottica con cui guardare al complesso mondo della scienza, esigenza tra l’altro costante negli scritti della più nota Simone Weil, ma poco presi in esame.
Poi è da tenere presente che nella seconda metà del secolo scorso, soprattutto negli USA, è venuta a formarsi una folta schiera di pensatrici che hanno dato origine alla cosiddetta feminist epistemology con studi approfonditi sulle diverse dinamiche dei processi conoscitivi e non solo di quelli tipici delle scienze vere e proprie. Anche in Italia in questi ultimi anni temi e problemi messi a fuoco da tale orientamento di pensiero stanno prendendo piede grazie ai lavori di Nicla Vassallo e di altri gruppi di ricerca, anche se è da rammaricarsi del fatto che le opere delle maggiori protagoniste come ad esempio quelle di H. Longino, E. Anderson, A. Tanesini, E. Fox, L. H. Nelson, L. Code, L. Alcoff ed di altre non vengono tradotte, pur costituendo un capitolo non secondario e inedito del pensiero contemporaneo; e questo di per sé costituisce una vera e propria anomalia in quanto in Italia, più che in altri paesi europei, è stato tradotto quasi tutto dei protagonisti maschili sino a volte a tradurre anche studi insignificanti sul loro pensiero.
Così è necessario allargare notevolmente il numero delle ‘donne filosofe da conoscere’ e, al di là delle protagoniste dell’epistemologia femminista che comunque occorre conoscere per la varietà di prospettive aperte, in tale contesto di vera e propria fioritura di interesse per problematiche, inerenti soprattutto la filosofia della scienza, un posto particolare vengono ad assumere in Italia i percorsi di Elena Gagliasso ed in Francia di Hourya Benis-Sinaceur che, sin dagli anni ’70-’80 del ‘900, hanno concentrato i loro interessi rispettivamente sulla filosofia della biologia e sulla storia e la filosofia della matematica. Ci aiutano in particolar modo, per conoscere il non comune spessore concettuale di Benis-Sinaceur (1940), due recenti studi che ne ripercorrono le fasi più salienti come quello di Emmylou Haffner, Hourya Benis-Sinaceur. Dans le tissu vivant de la connaissance (Casablanca, Centre Culturel du Livre 2020) e della stessa Haffner con David Rabouin, a cura di, L’Épistémologie du dedans. Mélanges en l’honneur de Hourya Benis-Sinaceur, (Paris, Classiques Garnier 2021).
Già dal titolo dato a questi studi si entra in un’atmosfera concettuale tipica della tradizione epistemologica francese, dove è una costante teoretica di fondo cogliere il ‘tessuto vivente della conoscenza’ e di quella prodotta dalle matematiche in particolar modo, come alcuni protagonisti maschili avevano indicato da Gaston Bachelard a Jean Cavaillès, quest’ultimo oggetto di diverse monografie da parte di Benis-Sinaceur che, nata a Casablanca, ha continuato i suoi studi all’École normale supérieure di Parigi col prendere in esame la storia e la filosofia dell’algebra e della logica con studi su Leibniz, Sturm, Frege, Bolzano, Cantor, Dedekind, Hilbert, Bernays, Tarski e Robinson. Come dice spesso nelle sue opere, dopo essersi abbeverata a tali imprescindibili fonti del pensiero logico-matematico che le hanno permesso di entrare nell’edificio e nel cuore delle teorie e delle tappe più significative, Benis-Sinaceur ha sviluppato quella che chiama, utilizzando l’efficace metafora del poeta Henri Michaux di espace du dedans, molto significativamente épistémologie du dedans, ‘epistemologia dal di dentro’; sulla scia di altri filosofi della matematica francesi come Cavaillès, Granger e Vuillemin, ha tracciato un autonomo percorso di ricerca che ha trovato nella fondamentale opera del 1991, stampata più volte, Corps et Modèles. Essai sur l’histoire de l’algèbre réelle, un punto di arrivo e nello stesso tempo un punto di partenza per ulteriori sviluppi incentrati sul valore euristico della logica con la sua ars inveniendi e sui cambiamenti che permette di apportare alle discipline matematiche.
Infatti, quasi tutti i contributi apparsi nel volume in suo onore, a cui hanno partecipato molti studiosi provenienti da diversi paesi, si concentrano su quest’opera che andrebbe tradotta in italiano per la profondità delle analisi condotte e per aver tracciato le linee di un vero e proprio ‘programma epistemologico’ che tenta di ‘comprendere l’essenza’ delle dinamiche interne alle matematiche dove gli specifici processi di continua astrazione messi in atto costituiscono un corpus concettuale indispensabile nella formazione della stessa razionalità umana; tale percorso viene poi supportato da ulteriori studi sulla philosophie mathématique e su come tale capitolo tipicamente francese alle prese con i contributi di Kant, Hilbert e altri si sviluppi nel cercare di capire quella che Simone Weil chiamava ‘l’arte della matematica’ nelle lettere scambiate col fratello André, uno dei fondatori di quel gruppo di matematici che va sotto il nome di Nicolas Bourbaki. Nel delineare un percorso teso a capire la natura delle matematiche ‘dal di dentro’ o du dedans, Benis-Sinaceur ci offre, così, un esempio di quello che chiama, sulla scia di Cavaillès, uno ‘spinozismo in atto’, cioè un percorso di pensiero ricco di tensioni cognitive più in grado di dare degli strumenti razionali per interrogare ‘dal di dentro’ il nostro modo d’essere senza cadere in quelle facili illusioni a cui portano le posizioni soggettivistiche sempre in agguato.
L’Épistémologie du dedans si rivela pertanto un volume indispensabile per comprendere meglio i vari aspetti del percorso di una donna impegnata nell‘’ingrato paese della filosofia della scienza’ dove si verificano a volte, più che altrove, diversi e intensi ‘tormenti’, nel senso di Simone Weil, sia concettuali che esistenziali; i singoli contributi ci offrono così uno spaccato di un pensiero in movimento, di una ‘filosofia in azione’ che, nell’evidenziare le ragioni dell’universo delle matematiche, porta “ad agire su di sé (elevazione interiore, integrazione con la natura, interiorizzazione delle leggi necessarie) o sul mondo (impegno politico e attivismo nella Resistenza)”, come hanno fatto lo stesso Cavaillès, Hélène Metzger e Simone Weil che non hanno esitato a mettere alla prova dei fatti il loro pensiero e con esso le rispettive vite. Come viene sottolineato poi in particolar modo da Emmylou Haffner nella sua monografia, Hourya Benis-Sinaceur è una donna filosofa che ci offre un percorso che “appartiene a più mondi” nel “navigare tra tutti non solo tra lingue come l’arabo ed il francese, ma anche tra il tedesco, il latino, il greco antico e l’inglese, tra i continenti, tra le tradizioni, tra le matematiche, la filosofia, la logica e la poesia”; in tal modo si è “liberata dalle frontiere” sempre artificiose e ci consegna un pensiero al di là della filosofia delle matematiche per approdare ad una posizione dove “si ricongiungono rigore, sforzo, scommessa, esigenza, necessità e contingenza, oblio di sé e libertà”.
Ancora una volta si può dire senza nessuna reticenza, sulla scia di Paul Valéry e di Fernand Braudel, che il Mediterraneo, il nostro Mediterraneo, si rivela sempre di più ‘il mare del possibile’ per le molteplicità culturali, sociali e scientifiche messe nei secoli in moto e che ancora sarà in grado di fare emergere; e se qualche decennio fa si parlava di una ‘epistemologia del Mediterraneo’ solo all’interno di alcuni percorsi di ricerca proprio per cercare di averne una visione di insieme, oggi tale approccio si rivela ancora più cogente dove le singole comunità sono chiamate a dare il loro contributo per rafforzare l’idea di un destino comune e per combattere con armi razionali più adeguate le posizioni isolazionaliste, che pur da vecchie ‘galee medievali’, per usare una efficace espressione di Pierre Teilhard de Chardin, continuano ad essere usate da alcuni per combattere i complessi processi di interdipendenza in atto.