
CHE PARLANO DA CAFONI ARRICCHITI
Caro Direttore,
da qualche tempo ascolto con disagio le parole dei nostri governanti, in testa Conte, Di Maio e Salvini. Un disagio che non riuscivo a spiegarmi e che oggi ho capito grazie a una lettura causuale di Heinrich Boll: “Nell’esercizio anche del più umile dei mestieri, lo stile è decisivo”. Ecco: lo stile, appunto. Che cosa c’entra il mio disagio? C’entra con il fastidio che tutte le volte provo nel sentire i tre premier vice di se stessi esprimersi in prima persona. L’utimo esempio me ho ha regalato ieri l’avvocato Conte che, parlando del suo incontro con i capi di governo europei a Bruxelles, annuncia: “Dirò ai miei partners…” I suoi partners? Così parlano i capi azienda, non i capi di governo. Il linguaggio infarcito di “ho deciso”, “ho stabilito”, “ho ho ho…” è uno stile da cafoni arricchiti i quali, finalmente, si sentono al potere.
Ma Conte, l’avvocato del popolo, non è il solo a usare questa neolingua politica. Salvini parla di immigranti e dice “ho chiuso i porti…” che poi non è neanche vero. Al ragazzo che gli dà del razzista, risponde: “Ti manderò a casa dieci migranti…”. E poi la tiritera di “ho difeso i confini…”, “li rimanderò a casa…”, “governo come un padre di famiglia…”. Di Maio, il miracolato della Triade, non vede l’ora di accodarsi: “Ho espulso…ho deciso…ho firmato…ho abolito…”.
Credete, cari lettori, non si tratta di una questione di lana caprina. Sarà che, avendo passato le settanta primavere, vengo da un altro mondo. Ma non è mai accaduto prima d’ora che i governanti o i leader politici esprimesero un concetto proprietario dello Stato, sottolineato con l’uso della prima persona singolare. Ho buona memoria. Ricordo Moro, Andreotti, Nenni, Craxi, Berlinguer, Spadolini e persino Almirante (elegante neofascista) parlare sempre al plurale o a nome del loro partito. Era costume che il premier dicesse: “Andremo a Bruxelles a difendere gli interessi del Paese…”, “Spiegheremo ai nostri alleati…”, “Faremo valere le nostre ragioni…”, “Proporremo un disegno di legge…”, “Pensiamo a una iniziativa così e cosà…”.
Capisco le obiezioni: oggi c’è facebook, c’è twitter. Cioè oggi il linguaggio è impostato in prima persona già da quando vai alla scuola materna. Ma continuo a ritenere che l’assunzione di un pubblico incarico imponga il dovere di parlare a nome della Comunità. E continuo a sospettare che l’io nasconda un sottofondo di uomo solo al comando che è foriero di sorprese non piacevoli. È già accaduto. Non mi spingo a concludere che l’uso dell’io sia l’anticamera dell’uomo solo, mi limito a dire che vi colgo una mancanza di tatto, di buon gusto, di stile appunto. A me dà fastidio, forse siamo in pochi a notarlo.
Magari ho nostalgia degli anni che furono, della mia giovinezza pure. Ma confesso che, per quanto cerchi di adeguarmi ai nuovi linguaggi, non riesco ad adeguarmi alla supponenza e alla cafoneria. Un peccato che mi perdono volentieri.