VERSO IL REFERENDUM: I PADRI COSTITUENTI

“Il mio nonno materno era un mazziniano romano, mio nonno Pietro fu garibaldino. Mio padre fu democratico antifascista. Io sono comunista. Mazziniani, garibaldini, antifascisti, comunisti: questa è la storia d’Italia!”

Sono parole di Giorgio Amendola e rispecchiano perfettamente lo spirito e la cultura da cui proveniva il Padre Costituente, comunista quasi per caso, riformista, europeista, oppositore degli estremismi del 1968.

Suo padre, il ministro liberale Giovanni, morì in Francia in seguito ad un pestaggio ad opera dei fascisti, Giorgio, poco più che un ragazzino, si trovò davanti alla barbarie delle camicie nere e per questo, per tutta la vita, si ritenne prima di tutto un antifascista.

Di cultura liberale, divenne comunista dopo aver riflettuto a lungo sulle cause che avevano portato il fascismo ad imporsi in Italia.

“Io sono diventato comunista, da liberale che ero, perché il comunismo mi diede questa risposta: Gramsci mi diede questa indicazione e ci dimostrò quali erano le cause, i motivi di questa tragedia, che cos’era il fascismo, e come esso non fosse caduto dal cielo”.

Oppositore del fascismo, durante gli anni del regime, dopo essersi iscritto al Partito Comunisata, fu condannato al confino a Ponza. Rimase lì 5 anni. Dopo un soggiorno a Parigi, durante la Resistenza divenne esponente di spicco del Partito Comunista Italiano. Eletto all’Assemblea Costituente tra i comunisti, nel corso della sua carriera politica sarà un riformista, attento all’unità della sinistra italiana e sarà anche un europeista convinto.

Ma è ai lavoratori che Amendola dedicherà la vita, è al movimento operaio il suo eterno pensiero.

Il 20 marzo 1947, l’Assemblea Costituente discute sull’articolo 1° della Costituzione. Democristiani, liberali e comunisti sono in disaccordo sull’«Italia democratica fondata sul lavoro». Dal racconto stenografico dei lavori in Assemblea, apprendiamo l’intervento di Giorgio Amendola:

“Questa opposizione ci fornisce anzi la controprova della giustezza della nostra tesi, ci prova, ancora una volta, la necessità da noi avvertita che fin dal primo articolo sia espresso, in modo chiaro, semplice e popolare, e nello stesso tempo solenne e lapidario, il carattere della nuova Costituzione, il carattere che la precisa politicamente e storicamente, il carattere popolare e antifascista che essa deve avere, dopo la tragica esperienza vissuta dall’Italia nell’ultimo ventennio”.

Giorgio Amendola parla in aula. Tiene particolarmente a definire a livello costituzionale “l’Italia repubblica democratica fondata sul lavoro”. Come lui stesso affermerà, gli oppositori alla sua idea sono coloro che hanno interessi agrari, industriali, gli affaristi. Secondo Amendola costoro temevano che una Costituzione che si apriva con l’articolo “l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro” avesse aperto le porte alla riforma sociale ed economica sognata dalla sinistra italiana.

Prosegue Amendola, sempre quel 20 marzo:

“Non abbiate paura, colleghi, e se credete veramente che il lavoro è il fondamento della Repubblica, non nascondete, vergognosamente, pudicamente, questa affermazione nelle pieghe di un capoverso che pochi leggeranno, ma proclamatelo solennemente, direi orgogliosamente, nella prima riga della Costituzione, in una dichiarazione che tutti gli Italiani conosceranno e che dia a tutti i lavoratori la certezza o la fede nell’avvenire democratico del nostro Paese”.

Giorgio Amendola fu anche scrittore. Nelle sue opere emerge il ricordo del confino e del carcere, il dolore di chi, a causa delle sue idee, è costretto alla solitudine. Ma non si pentì delle sue scelte, anzi, come era solito ripetere: “Sono pronto ad ogni destino”.

Oggi il Partito Comunista di cui Giorgio Amendola fu un esponente di primo piano non esiste praticamente più in Italia. Nel referendum costituzionale, l’articolo 1° così caro a Giorgio Amendola non è in discussione, anzi: quasi tutti gli italiani lo ricordano a memoria e lo recitano con rimpianto, considerando la mancanza di lavoro nel nostro Paese.

Per tutta la sua vita Amendola perseguì l’unione tra socialisti e comunisti, un partito che unisse la sinistra italiana e il movimento operaio. Non riuscì nell’impresa, d’altronde, nel dopoguerra i tempi non erano maturi. Amendola fu un grande comunista, anche se all’inizio poco convinto. Così ricorda lui stesso quella scelta:

“La mia fu una decisione travagliata. Ci pensai su quasi due anni. Perché in fondo il mio gruppo era costituito dagli antesignani di Giustizia e libertà. Se non fossi diventato comunista, sarei diventato uno di Giustizia e Libertà. Ma quando Ernesto Rossi venne a cercarmi perché organizzassi a Napoli Giustizia e Libertà, io m’ero ormai deciso a iscrivermi al Partito Comunista. Infatti, mi ci iscrissi dieci giorni dopo, il 7 novembre 1929”.

Da quel giorno di novembre il popolo comunista amò tanto Giorgio Amendola, uomo di ideali veri, combattente prima per la libertà e poi per i diritti dei lavoratori.

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