La verità sulla mafia, che nessuno ci dice e che Pif ci racconta con un sorriso amaro. E incazzato

Ci sono film che fanno riflettere, sensibilizzano, commuovono, raccontano storie parallele alla realtà, per farcela capire meglio, da un punto di vista diverso.

In guerra per amore è uno di questi. Spesso il cinema italiano ha tentato di raccontarci storie torbide, molte volte ci è riuscito, poche volte è riuscito a regalarci un sorriso tanto amaro quanto incazzato. Scusate il termine, ma è il sentimento che chi vi scrive ha provato all’uscita della sala.

Pierfrancesco Diliberto ancora una volta ci parla di mafia e lo fa a modo suo con un documento tenuto per anni negli archivi di chissà quale armadio impolverato e di cui, poco tempo fa, ho parlato su questo magazine. Pagine di una storia mai del tutto raccontata e su cui ancora aleggiano parecchie ombre.img_0357

In guerra per amore parte dalla storia di un giovane emigrato siciliano, che pur di sposare la sua amata, ci porta e si porta al centro dello sbarco in Sicilia. Non si sparano pallottole, non ci sono scene da “Salvate il soldato Ryan” o “La sottile linea rossa, ma solo parole. La trattativa continua, il do ut des, che la mafia impone agli alleati, è la vera protagonista della storia.

Ci racconta del lavoro sporco dell’OSS (Office of Strategic Service), il padre della CIA, che comincia a New York, nella cella di Lucky Luciano e arriva in Sicilia consegnando il potere ai padrini, di fatto cambiando tutto per non cambiare niente. “Qui, chi muore e chi vive, lo decido io”. E in effetti ne muore uno solo, perché l’ha voluto il padrino.

C’è la Sicilia rurale, piena di pregiudizi, flagellata dal ventennio e dal capitale umano sacrificato in nome della guerra. C’è la storia che si ripete nei giorni nostri, con il nonno fascista che adora la statua del duce più della Madonna, ma che poi resta deluso (“io credevo in te”). Riferimenti simbolici, con la stessa statua gettata dalla finestra che resta profeticamente appesa a testa in giù tra i fili per stendere il bucato.

C’è l’omaggio a Forrest Gump, con l’uomo piccolo-piccolo che compie il suo destino trascinato da quelli che sono i grandi eventi della storia.
Ci sono gli uomini di mafia, di cui sono fatti i nomi e cognomi solo nel finale, che da buffe rappresentazioni diventano criminali crudeli noti a cronache nere e buie della storia italiana.
C’è la politica, che ha trasformato il volere dei padrini in anticomunismo, la strategia militare in voti e i mediatori in sindaci, deputati e ministri.

C’è molto materiale in questo film, che fa sorridere, riflettere ma anche parecchio incazzare.