Breve riassunto della puntata precedente: grazie all’aiuto di Medea, Giasone ha superato tutte le prove imposte dal re Eeta, che, nondimeno, gli rimane ostile e vorrebbe negargli il Vello d’Oro. Giasone, Medea e gli Argonauti salpano così di notte e fuggono via, alla volta di Iolco.
Eeta si lancia all’inseguimento dei fuggitivi e qui Giasone rivela ancora una volta gli aspetti ambigui del suo carattere, un po’ come il “polytropon” (“dalle tante facce”) Odysseo omerico. Vistosi alle strette, al solo scopo di prendere tempo, Giasone non si fa scrupolo di assassinare il fratello di Medea, suo compagno di fuga, e di gettarne in mare il corpo fatto a pezzi, in modo da costringere Eeta a raccoglierne i brandelli del figlio e dargli degna sepoltura.
Giunto a Iolco, Giasone si deve misurare ancora con il rifiuto dello zio Pelia di cedergli il trono e, a seconda delle diverse versioni del mito, varie sono le prove con la quali si deve misurare. Nota bene: in tutte, per uscire vittorioso, Giasone dovrà ancora avvalersi dell’aiuto imprescindibile della maga/amante Medea.
All’ennesimo rifiuto di Pelia, l’ira di Medea si scatena: con la promessa di farlo tornare giovane, induce le figlie del vecchio re di Iolco a tagliargli la gola e a bollirne il corpo in un calderone.
Succede a Pelia il figlio Acasto che, nell’intento di vendicare il padre, volge in fuga Giasone e Meda, che trovano scampo a Corinto.
Passano dieci anni e Giasone perde la testa per Glauce, la giovane e bellissima figlia del re Creonte, e decide così di ripudiare Medea, la donna che per lui aveva rinunciato a tutto e che sempre lo aveva amato e protetto.
Di colpo di scena in colpo di scena, atroce è la vendetta di Medea: prima regalerà a Creusa un mantello, dono nuziale, che infonde nelle sue vene un fuoco magico, le fiamme si propagheranno al palazzo reale e a chi lo occupa, seminando morte e uccidendo, ovviamente, Glauce e il padre giunto in suo soccorso.
Medea non è ancora paga e, prima di essere rapita al cielo sul un carro di luce, arriva a punire Giasone nel modo più crudele, ammazzando i figli, Mermero e Fere, con lui concepiti.
Secondo la versione di Euripide, che a Medea dedica una delle sue più celebri tragedie, Medea arriva a nutrirsi delle carni dei due piccoli e lo strazio è tale da indurre Giasone al suicidio. Ma vi sono autori contemporanei di Euripide secondo i quali, più realisticamente, Mermero e Fero sarebbe caduti per mano degli abitanti di Corinto, a loro volta assetati di vendetta.
Secondo un’altra variante, Medea è condotta ad Atene su un carro trainato da due draghi alati. Qui si unisce in matrimonio con l’anziano re Egeo, da cui ha il figlio Medo. Prova dunque, ma senza successo, ad eliminare Teseo, figlio di Egeo, finché il re la allontana dal suo regno. Medea torna così nella natia Colchide, si riconcilia col padre Eeta e di lei si perdono le tracce. Da suo figlio Medo sarebbe però disceso il popolo dei Medi
In verità, la figura di Meda non ha mai cessato di affascinare autori classici e non solo. Dovremmo così raccontare di una Medea di Ennio, di Ovidio, di Seneca, di Draconzio (poeta e oratore cristiano del sec. V d.C.).
Ancora, di Medea hanno scritto Pierre Corneille e Giovanni Battista Niccolini, Christa Wolf e Corrado Alvaro, solo per citarne alcuni.
Non solo letteratura, ma anche pittura: celebri i dipinti di Gustave Moreau (Jason et Médée, 1865) e Frederic Sands (Paris et Medea, 1868)
Anche l’opera non poteva che appassionarsi alle vicende di Giasone e Medea, con autori (tanto per fare degli esempi) della levatura di Francesco Cavalli, Paul Bastide, Georg Benda, Marc-Antoine Charpentier, Luigi Carlo Cherubini, Vincenzo Tommasini, Peter von Winter.
E infine il cinema: celebre (e parecchio contestata) la Medea interpretata da Maria Callas nel film di Pier Paolo Pasolini (1972).
Giasone e Medea: una tormentata storia di avventura e di amore, di intrighi e prove eroiche, imprese mai prima celebrate e orrori inenarrabili. Una sorta di concentrato di quanto, dal romanzo ellenistico alle odierne telenovelas, l’umana fantasia avrebbe saputo concepire per narrare e affascinare, per scoprire e velare il mistero della vita, dell’amore, dell’odio, della morte.