Ovvero: il velo del silenzio e la necessità di indignarsi

Non è la prima volta che scrivo di questo argomento. Ci ritorno dopo essermi imbattuto in una dichiarazione di Edgar Morin, che considero uno degli ultimi maestri di pensiero del ventesimo secolo.

Edgar Morin, 103 anni, ebreo sefardita, in occasione della consegna del Premio Nonino, in una data quanto mai significativa, lo scorso 27 gennaio 2024, ha testualmente dichiarato: «Rony Brauman è rimasto disgustato dal massacro perpetrato da Hamas in Israele, ma anche dalla carneficina sproporzionata che l’esercito israeliano continua a perpetrare a Gaza. Considero la sua indignazione legittima, e gli consegno il Premio Nonino 2024 con ammirazione».

«Brauman – ha aggiunto Morin – è una delle colonne portanti dell’organizzazione internazionale Medici senza frontiere, che è un esempio di irrevocabile solidarietà con tutti i perseguitati in ogni parte del mondo».

E infine: «Brauman, nato a Gerusalemme, è sensibile al tragico destino del popolo palestinese, che conta cinque milioni di rifugiati. Lo stato di Israele continua implacabilmente la colonizzazione della Cisgiordania, e non chiama i palestinesi con il loro nome, ‘Palestinesi’, preferendo il termine generico di ‘arabi’ […], a Gaza i palestinesi sono disprezzati come lo sono stati gli Ebrei in tutti i Paesi colonizzati dai loro oppressori».

Ora, sono stato per nove volte in Palestina e Israele, sono stato ospite in casa di Palestinesi, ho visitato i campi profughi e ho attraversato in lungo e in largo i Territori Occupati della Cisgiordania. Avrei, dunque, modo di commentare dal mio punto di vista le dichiarazioni con cui un ebreo sefardita, Edgar Morin, riprende e sottolinea lo sdegno di un altro pensatore ebreo, Rony Brauman, il cui impegno umanitario è tale da porlo al di sopra di ogni sospetto di antisemitismo. Potrei sottolineare con enfasi il fatto che le parole di Morin siano state pronunciate proprio il 27 gennaio, anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz e Giorno della Memoria. Potrei elencare i numeri della carneficina che, a Gaza, da gennaio ad oggi, non ha mai avuto non dico una fine, ma almeno una tregua. Oppure potrei commentare le foto che accompagnano quest’articolo e che ho avuto la possibilità di scattare personalmente: vi si vede una ambulanza ucraina crivellata di colpi da mitragliatrici russe.

Non farò nulla di tutto questo. Non una sillaba di più. Riporterò l’etimologia del verbo “indignarsi” e continuerò a chiedermi perché, eccezion fatta per uomini della levatura di Morin e Brauman, non sembra più indignarsi più nessuno. Di sicuro, non si indigna quel “popolo” che dovrebbe essere il soggetto propulsore di ogni rivoluzione: e penso ad una rivoluzione sociale e culturale, non di certo ad una lotta armata. Alla mia domanda, io una risposta ce l’avrei, ma preferisco tenerla per me.

Dunque, indignarsi deriva dal latino “indignari”, composto di “in-“, prefisso che in questo caso ha valore negativo, indicando una negazione o un’opposizione, e “dignari”, verbo che vuol dire “ritenere degno”, “onorare”. Quindi, letteralmente, “indignarsi” significa “non ritenere degno”, “non onorare” qualcosa o qualcuno.

La conclusione è amaramente semplice. Non ti indigni per la pace? Vuol dire che per te la pace non “è degna”. Non ti indigni per gli oppressi? Vuol dire che non meritano il tuo onore. Non ti indigni per la verità? Vuol dire che per te non esiste.

L’alternativa? Indignarsi. Indignarsi. Indignarsi.

È tutto.

Sergio Mattarella: «Non si deve mai dimenticare che il nostro Paese, l’Italia, adottò durante il fascismo – in un clima di complessiva indifferenza – le ignobili leggi razziste: il capitolo iniziale del terribile libro dello sterminio; e che gli appartenenti alla Repubblica di Salò collaborarono attivamente alla cattura, alla deportazione e persino alle stragi degli ebrei. Un portato inestinguibile di dolore, di sangue, di morte sul quale mai dovremo far calare il velo del silenzio».

Primo Levi: «Se questo è un uomo».

 


FontePhotocredits: Paolo Farina
Articolo precedenteVincere
Articolo successivoI dittatori son per nulla amati
La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...

1 COMMENTO

  1. Sul podio ormai saliti
    Con maschera dell’odio
    Volgendo spalle al mondo
    Che attende ancor la pace,
    È il baro e l’oppressore.

    I tanti dittatori,
    Famelici corrotti,
    Riversano rancori
    Che fanno da supporto
    A certe bramosie
    Tenute sottopelle
    Che il tempo non espelle.

    Nel rivederci nudi
    Coscienti d’aver perso
    Un bene nostro caro:
    Di libero pensiero
    Di libertà sancite?

    Ebbene! Si rivolge
    La volontà di Dio
    A rendere giustizia,
    Laddove imbelle mani
    Giunte, stan, Lui, pregando…?

    18/08/2024

LASCIA UNA RISPOSTA

Please enter your comment!
Please enter your name here