Gabriele del Grande: una voce libera, della libertà dei folli… E sono tanti: almeno 180

#Io sto con Gabriele del Grande perché l’ho conosciuto, al telefono; gli ho parlato due volte.

#Io sto con Gabriele perché, quando ho sentito parlare di lui per la prima volta e del suo progetto, mi è sembrato folle.

#Io sto con Gabriele perché la sua follia è coraggio e determinazione. Coraggio quando ha scelto di sfidare la legge italiana per aiutare cinque profughi palestinesi e siriani che, sbarcati a Lampedusa, volevano arrivare in Svezia. Determinazione perché, insieme ad alcuni suoi amici, mettendo in scena un finto matrimonio, ha accompagnato i profughi fino alla meta agognata. E quel viaggio è diventato il docufilm “Io sto con la sposa”, che Gabriele ha girato in presa diretta con Antonio Augugliaro e Khaled Soliman Al Nassiry. Il film, finanziato con il crowdfunding, ha avuto un grande successo nel 2014 alla 71ma edizione della Mostra del Cinema di Venezia, sezione Orizzonti. I protagonisti hanno scelto poi di presentarlo personalmente nelle scuole agli studenti.

E per il suo coraggio e la sua determinazione Gabriele Del Grande è stato in fermato in Turchia ad Hatay, provincia sud-orientale al confine con la Siria, il 9 aprile 2017. Attualmente è in carcere a Mugla. Il Ministero degli affari degli Esteri italiano sta lavorando per la sua liberazione e tutto il mondo dei giornalisti, i social e varie organizzazioni internazionali si stanno mobilitando perché siano rispettati i suoi diritti. Nell’unica telefonata che gli è stata concessa ai parenti ha annunciato che inizierà lo sciopero della fame.

Reporter e documentarista, animatore del blog Fortress Europe, Gabriele era in Turchia per condurre delle ricerche per il suo prossimo libro “Un partigiano mi disse”, dedicato alla guerra in Siria e alla nascita dell’Isis. E per questo suo nuovo progetto mi aveva contattata. Pensava già alla nuova operazione di crowdfunding e alla presentazione nelle scuole.

#Io sto con Gabriele, ma sto con tutti i 180 giornalisti trattenuti in stato di fermo nelle prigioni in Turchia. Tra loro anche Deniz Yucel, il corrispondente per Die Welt, in attesa di processo per aver investigato il lavoro di hacker di sinistra e ottenuto i numeri di conto corrente del nipote di Erdogan; o il giornalista britannico Jake Hanrahan e il suo cameraman Philip Pendlebury di Vice News fermati nel 2015 mentre stavano filmando gli scontri tra la polizia e alcuni componenti del partito PKK.

È di oggi la notizia del fermo ad Istanbul di Andrea Macchi, inviato di News Mediaset insieme alla sua troupe, per impedire loro di effettuare un collegamento in diretta con l’Italia sulla situazione post referendum.

Con l’introduzione dello stato di emergenza, in seguito al fallito golpe della scorsa estate, e i risultati del referendum, i controlli nei confronti dei reporter da parte del governo di Erdogan si sono intensificati.

Libertà di espressione e libertà di stampa, negati già da tempo ai giornalisti turchi, sono ora un miraggio in Turchia anche per tutto il mondo del giornalismo, perché il fermo di Gabriele come quello di Duniz Yucel e di Hanrahan sono evidenti azioni intimidatorie nei confronti della stampa internazionale. L’unica colpa aver liberamente esercitato il diritto di espressione sancito dall’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. E questo è inaccettabile per un paese, la Turchia, che ha scelto di far parte dell’Unione Europea, così come è vero che non tutti i turchi condividono le posizioni di Erdogan ed è a loro che deve andare la solidarietà dell’Europa, non bisogna farli sentire soli. Per questo l’Europa deve avere il polso fermo e difendere in modo deciso la libertà di stampa e di idee in Turchia.