«Come un fiammifero, che esiste solo se brucia»

(Fabrizio Caramagna)

Caro lettore, adorata lettrice, ultimamente ho maturato una fissa per i fiammiferi. Un mese fa ti ho scritto dell’importanza di essere “fiammiferi accesi”. Oggi vorrei parlarti dei “fiammiferi effimeri”.

Le due parole rimano alla perfezione, eppure hanno una origine ben diversa. Fiammifero deriva dal latino e significa “portatore di fiamma”. Effimero deriva dal greco e significa “che dura per un solo giorno”.

E così queste due parole, accostate, mi scatenano una sorta di corto circuito, ma di quelli buoni: perché prima ti disorientano e poi ti obbligano a riflettere.

Ho pensato: ognuno di noi è un “portatore di fiamma”. Siamo vivi, finché c’è del fuoco sacro in noi. Moriamo, quando non coltiviamo più passioni. E, si sa, quando moriamo, per prima cosa diventiamo freddi. Semplicemente, ci spegniamo.

D’altra parte, la morte non è un mero incidente di percorso, non è catalogabile come un semplice imprevisto. Moriamo perché siamo mortali. Punto. Siamo nati per vivere, siamo esseri viventi, ma anche morenti. Sarebbe bene non dimenticarlo: aiuta a vivere meglio, in gratitudine e consapevolezza. Perché nessun giorno è mai scontato e nessuno di noi può aggiungere un sol giorno alla propria vita.

Casomai, possiamo accorciarla la nostra vita: e non sto pensando semplicemente al suicidio propriamente detto. In effetti, ci sono molti modi per suicidarsi. Non cercare più il bello, non avere più sete di conoscenza e, come ho già scritto, non coltivare più passioni: tutto questo è già morire. Per non dire di chi si uccide con le dipendenze di ogni genere e per tutti i gusti. Per non dire dei pessimisti che si spacciano per realisti o di tutti quelli che si accaniscono a spegnere la speranza, convinti come sono – anche se non se lo confessano mai – che è troppa fatica coltivare futuro.

Bene, a fronte di fragilità e contraddizioni, io insisto: intravedo la potenza della parola effimero accostata a fiammifero. Perché ricordarsi che, per quanto lunga, persino ultracentenaria, la nostra vita “duri un solo giorno” potrebbe aiutarci ad apprezzarne la luce: almeno finché ce n’è.

Qualcuno obietterà che è una ben magra consolazione e io risponderei che si tratterebbe di un’obiezione stupida. Per una serie di ragioni che proverò in estrema sintesi a riassumere.

Primo. Un fiammifero è fatto per “portare luce”, un fiammifero che avesse deciso di rimanere spento non servirebbe a niente.

Secondo. È vero che un fiammifero ha una durata effimera, ma sufficiente a dare luce ad un altro fiammifero. E ad un altro ancora. E ad un altro ancora. Verso l’Infinito e oltre.

Terzo. Quando è buio, e lo so bene che viviamo in tempi bui, è più intelligente accendere un fiammifero che continuare a gridare: «Mamma, mamma, ho paura del buio!».

Quarto. In una stanza completamente buia, assolutamente “di ogni luce muta” (papà Dante!), la differenza tra il vederci e il non vederci non è nella “appicciata” che si usa vedere al Sud per le feste patronali. La differenza tra il vederci e il non vederci è in un solo fiammifero: purché sia acceso.

Quinto. L’ha scritto Caramagna: siamo come fiammiferi, esistiamo solo se bruciamo.

Elias Canetti: «Vorrebbe degli attimi che bruciano a lungo, come un fiammifero».

Ancora Caramagna: «Limitarsi a guardare un fiammifero non basta per prendere fuoco».

Fulvio Fiori: «Fermato il responsabile degli incendi dolosi: un fiammifero che si era dato all’alcol».


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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...

6 COMMENTI

  1. Caro Paolo il “fiammifero” che è’ in te riesce sempre ad accendere curiosità e passione….
    molto molto bella la riflessione sul fiammifero e la metafora del fiammifero che è’ in noi… Buona buona domenica

  2. “Per quanto lunga, persino ultracentenaria, la nostra vita “duri un solo giorno” potrebbe aiutarci ad apprezzarne la luce: almeno finché ce n’è”. Ciò che hai scritto lo prendo come un invito, un augurio e un impegno a mantenere, fin quando ci sarà vita, accesa la fiamma effimera del “mio fiammifero”. Grazie! Michelina

      • Oggi ho corso i campionati italiani master 10K di corsa su strada a Foggia.
        Leggendo il tuo interessante articolo ho capito che solo coltivando le passioni si dà vita a quel fiammifero che è dentro ognuno di noi.
        La mia grande passione, come anche la tua credo, è la corsa. Grazie per le tue profonde riflessioni che ci portano sempre a riflettere e cercare di migliorarci

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