I Talk Talk appunto, un gruppo di culto autore di successi quali “It’s my life“ e “Such a Shame“

Martedì 10 e Mercoledì 11 settembre sarebbero da evidenziare di rosso sul calendario della 23esima edizione del Festival Castel dei Mondi. A Palazzo Ducale di Andria, infatti, nella prima serata, intitolata “Talk Talk. Before the Silence”, il musicteller Federico Sacchi ripercorre la parabola discendente di una delle band di maggior successo degli Anni Ottanta, i Talk Talk appunto, un gruppo di culto autore di successi quali “It’s my life“ e “Such a Shame“.

«Amo il suono, ma preferisco il silenzio» questo il motto manifesto di Mark Hollis, epitaffio di una carriera che dal fragore è passata, improvvisamente, al silenzio di una forma d’arte caduta nel dimenticatoio. Fra teatro, musica, video e storytelling, lo spettacolo fa rivivere le tappe inverse di meteore spentesi senza alcuna apparente motivazione valida. Protagonisti del genere musicale new romantic, i Talk Talk sembravano poter raccogliere l’eredità dei più famosi Duran Duran. Stipulano, nel 1983, un contratto con l’Emi, e, dopo un paio di album, approcciano ad uno stile più new wave, ma mentre la qualità del loro lavoro cresce con un’impronta volutamente post-rock, critica e popolarità calano, aprendo al silenzio di Hollis una strada sterrata cementata da rimpianti.

La sera successiva (mercoledì 11) Federico Sacchi vestirà, invece, i panni di un artista italo-francese che tutti noi conosciamo davvero poco. “Gli anni di Nino Ferrer”, infatti, è il vivo testamento di un cantautore famoso non solo per “La Pelle Nera”, “Agata” e Pippo Baudo, ma per quarant’anni di carriera culminati con tormentoni commerciali a cui sono seguiti, però, anni bui. La scomparsa dai palinsesti è stata la griffe di Nino Ferrer, genio eclettico e ribelle, disposto a tutto pur di conquistare la propria libertà anche a perdere l’affezione del pubblico.

«Il mio incontro con Nino Ferrer è stato casuale, come avviene sempre con le storie che entrano nella mia vita. – spiega Sacchi – Stavo ragionando su un ciclo di racconti sull’influenza degli artisti bianchi nell’evoluzione della black music e la prima cosa che mi è venuta in mente è stato l’ipotetico titolo: «Vorrei la pelle nera». Perfetto, no? Ma al di là di quella canzone, io di Nino Ferrer non sapevo niente. Se lo avessi davvero utilizzato per il titolo di un progetto, avrei dovuto conoscerlo un po’ meglio. Ed è accaduto quello che mostro sul web: prendo un disco, Blanat del 1979, lo ascolto, mi si apre un mondo pazzesco. E, per le meravigliose coincidenze della vita, Nino Ferrer , scomparso nel 1998, era il personaggio ideale per rinascere».


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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.