Tornerò a trovarti presto!

Non riuscii a sostenere il suo sguardo commosso e supplichevole e mi allontanai con il capo chino. Sapevo bene già in quel momento che sarebbe stato molto difficile mantenere quella promessa. Percorsi velocemente i metri che mi separavano dall’ingresso e precipitosamente con la mano destra arpionata alla ringhiera fui in strada, e mi sentii libero.

Ma dopo qualche minuto e prima che avessi raggiunto l’auto, quella frase espressa in precedenza ritornò prepotentemente in testa e iniziò a martellarmela: tornerò a trovarti presto!

Mia madre era sempre lì, seduta in salotto, con lo sguardo rivolto verso lo schermo della televisione. Lui poteva essere acceso o spento, poteva trasmettere musica o balli, discorsi o filmati, per lei non faceva differenza. I suoi occhi erano fermi, inespressivi, vuoti.

Ma non era stato sempre così. Durante i lunghi anni ‘80 quando trafelato, stanco ed affamato tornavo intorno alle 14 dalla Clinica Pediatrica, entrato in casa e lavate le mani, mi fiondavo in soggiorno dove mi urlava di stare zitto, di non spostare le sedie, di non cambiare canale, perché lei stava vedendo il Tenente Colombo. Mi indicava con un gesto della mano il piatto coperto dal secondo piatto ed io sapevo molto bene ciò che lei mi aveva riservato: i maccheroni al sugo… erano una vera specialità, cotti e conditi intorno alle 13, mi venivano amorevolmente custoditi fino alle 14, nel frattempo si erano trasformati in un blocco unico, duro e ormai naturalmente freddo. Sollevavo il piatto superiore, infilzavo con una forchetta di acciaio resistente e iniziavo a tagliare il massetto con un coltello robusto prima di affidare il tutto alla masticazione dei miei 25 anni.

Era mia madre!

Negli anni ‘70 seguendo la moda dei 75 giri, riuscii a strappare da mio padre – ma in questo devo dire  lui non si è mostrato mai mentalmente chiuso, tutt’altro – l’acquisto di uno stereo Grunding. In quella occasione come in numerose altre occasioni in cui c’era da acquistare un elettrodomestico, mi recai al rivenditore, unico e solo concessionario della modernità tecnologica dell’epoca e armato di questo grosso e pesante apparecchio munito di grossi altoparlanti, caricato il tutto in una grossa busta tornai a casa.

Mia madre ne fu felice, ma io tapino non capii subito il motivo di tanta condivisione… lo capii dopo poche settimane durante le quali furono furtivamente nascosti i dischi di Lucio Battisti, Claudio Baglioni, Fausto Papetti ecc.. e furono messi sul grammofono una pila di 75 giri di Julio Iglesias, che dalla mattina alla sera cantava come un posseduto a squarciagola e guai a farlo zittire, mia madre avrebbe iniziato a gridare!

E fu allora che dovetti fare armi e bagagli e trasferirmi…

Era mia madre!

Negli anni ‘60, lei visse il periodo più gratificante e più interessante della sua carriera di insegnate di italiano: sette anni di insegnamento all’Istituto Tecnico Industriale di Andria retto dal Preside Mari e con la presenza importante del Senatore Iannuzzi. La mattina partiva con la sua Bianchina celeste, imballava tanto il motore da sembrare il decollo di un aereo, fino a quando un incidente pose fine alla sua carriera andriese. Era fiera di quel periodo, era fiera del rapporto con i colleghi, aveva una vera ammirazione per il preside ed un rispetto totale per il Senatore. I suoi alunni avevano di mia madre una grande considerazione e ricordo quando, in occasione di una gita scolastica, alla quale partecipai, i suoi alunni furono molto gentili e affettuosi con me: vestivano con abito, camicia bianca e cravatta!

Nella casa di famiglia in centro la mia camera si affacciava su di un lungo balcone. Negli anni ‘70 il  piccolo e stretto tratto di strada che collega via XXIV Maggio con via Sabino Logoluso era molto vissuto: insomma era un vero inferno di rumori, tra mio padre che aveva lo studio giù, Tommaso Galdino con le motorette sempre accese e a smarmittare, il negozio dei fratelli Ambrosino che sparavano la musica mattina e pomeriggio per richiamare donne in cerca di corredo e dulcis in fundo il nostro caro amico Giuseppe Giannone che tra i canti d’opera da tenore del mattino e i camion che scaricavano enormi sacchi  pieni di ovoidi di carbone nel pomeriggio, era un bel dire: concentrarsi sui libri!

Allora non mi restava che chiudere la persiana, chiudere la finestra, chiudere la porta della camera, accendere la lampadina del lume sulla scrivania e provare a studiare, provare… perché mia madre che percorreva non meno di mille volte al giorno il corridoio che univa la camera da letto dei miei genitori, con il soggiorno cucina, vedendo la luce accesa in camera mia, apriva la porta, si lanciava sulla finestra la apriva, spalancava le persiane e sbattendole al muro esterno gridava:«Tonio dobbiamo stare tanti anni al buio! Adesso fai entrare in camera la Luce di Dio!!». Si girava sui tacchi, si chiudeva la porta alle spalle e  mi lasciava con la luce di Dio, ma anche con la rottura degli umani…

Era mia madre!

Ma uno dei momenti più difficili per noi tutti, scoppiò nel gennaio del 1976. Come dopo tanti anni il mio amico infermiere Fabio mi ha riportato la bella espressione biscegliese: la cop s n va’p count si, raggiungevo mia madre a scuola e la pregavo di stare con me. La mia testa era proprio per conto suo e mia madre provava con la sua amorevole presenza a riprenderla e a rimettermela a posto, mentre mio padre una volta e solo una volta, vedendo suo figlio completamente devastato, mi prese da parte e mi disse con tono fermo duro e risoluto: «Tonio cerca di studiare. Io non ho una azienda da lasciarti. Se tu non ti laurei, una cosa sola potrai fare, andare a Bitetto dal nonno, lì  c’è la zappa che ti aspetta!».

Ognuno di noi credo abbia avuto nel corso degli anni momenti su e momenti giù. Certo la percezione dei fatti della vita è del tutto personale e dipende dal carattere e dalla educazione, dall’esempio familiare e da tanti altri fattori imperscrutabili. I miei venivano da una realtà contadina, una realtà che non prevedeva divertimento, svago, vacanza in genere non prevedeva né la felicità, né la sua ricerca e neanche il tentativo. La vita era fondata sulla sofferenza e sul dovere. E tutto girava intorno a questi due principi fondamentali da cui non si doveva derogare. Ricordo delle espressioni che mi ripetevano spesso e che se allora erano per me la verità, ora a distanza di tanti anni mi chiedo come e quanto sia cambiata la nostra società: a tavola non si mangiava ma si metteva a tacere la fame. Chi era svelto a mangiare era anche svelto a lavorare. Quando si mangia non si parla e comunque anche la bontà di un cibo, anche il più gustoso, era commentato così: mia madre indicava con l’indice destro il tratto ed il tempo della bontà, spingeva il dito sotto il mento e lo faceva scorrere fino al pomo d’ Adamo, poi diceva: «Vedi, Tonio: da qui a qui». Ed io rimanevo in silenzio perché era mia madre.

Pensate oggi alle decine di trasmissioni televisive sulla cucina, a tutte le ore del giorno, ai cuochi assorti a rango di soloni, al cibo assorto a valore esistenziale. E poi alla sofferenza che bisogna allontanare, perché è il divertimento che dobbiamo rincorrere a tutti i costi, al dovere che è un epifenomeno, a tutto ciò che è effimero che è importante.

Un’ultima considerazione: ho ascoltato anche io il discorso del Presidente Bis della Repubblica; ha ripetuto tante volte la parola dignità. Dignità per noi italiani?

Credo sia preferibile stendere un manto pietoso. E proprio Lui, non aveva forse detto in più di una circostanza che il suo mandato era finito e che non ne avrebbe mai accettato un secondo?!


FontePhoto by JORGE LOPEZ on Unsplash
Articolo precedenteSinergia tra azione giuridica e dimensione pastorale
Articolo successivoLa felicità è un dono, prima che un merito (Purgatorio XXX)
Antonio Marzano medico chirurgo, pediatra di famiglia in Bisceglie dal 1985. Liceo Classico a Molfetta. Laurea e specialità presso l’Università di Bari. Ex studente di pianoforte per circa 10 anni da bambino, ha riscoperto la passione per la musica classica a 50 anni e sotto la guida della docente Angela Rosa Graziani, ha ripreso gli studi musicali. Con un gruppo di amici dà vita all’Associazione Musicale Fonè che in dieci anni ha offerto oltre 15 concerti di eccellente livello, con l’obiettivo di diffondere la conoscenza per la Musica Classica, specie quella interpretata da professionisti del territorio. Lettore vorace ma non onnivoro, ha riscoperto la passione per la scrittura ed il privilegio di esprimere con lo scritto episodi di vita, di professione, di musica e di passioni in genere.