Compito degli educatori è quello di prendersi cura del seme senza eliminare la temporalità delle stagioni: prendersi cura del seme e lasciare che il fiore sia.

È di qualche giorno fa la notizia della docente di un Istituto tecnico (non un liceo, con buona pace di Michele Serra) di Torre Annunziata salvata dai suoi alunni.

Da tre giorni l’insegnante di italiano, affetta da problemi motori, non si vedeva in classe e la sua assenza ha fatto insospettire gli alunni della sua quinta A. Gli stessi, giunti presso l’abitazione della loro professoressa e non ricevendo risposta al citofono, hanno allertato i carabinieri e, una volta entrati in casa, hanno trovato la loro docente agonizzante, rimasta intrappolata per un malore da tre giorni.

Una corsa all’ospedale più vicino, qualche giorno di osservazione e per fortuna un pericolo scampato da una situazione che si sarebbe certamente potuta evolvere meno piacevolmente senza l’attenzione mostrata dai ragazzi.

Una notizia di cronaca positiva, con meno clamore mediatico di un video dove un bullo insulta e picchia un professore, che porta con sé alcune riflessioni. Sull’attenzione e sulla gratitudine, sul mondo dei giovani e su quello degli educatori.

Simone Weil diceva che l’attenzione è la prima forma d’amore. E cosa c’entra l’amore, direte, in una storia di quattro ragazzi che salvano la loro professoressa?

Ogni storia d’attenzione è una storia d’amore. Ogni volta che un uomo, nel mondo, compie un gesto di attenzione disinteressata verso un altro uomo, c’entra l’amore. Ogni volta che un uomo esce dalla propria comodità e si interessa ad un altro uomo, c’entra l’amore.
L’amore nella sua forma più alta, che non è un contratto dove le parti si impegnano a dare per ricevere, ma un dono gratuito. L’amore è sempre un dono e noi, oggi, abbiamo dimenticato il dovere di donare.
Questa è la storia di Alessio, Liana, Eduardo, Antonio e di altri ragazzi che, per fortuna, sono delle bellissime eccezioni.

Non degli eroi, ma dei comuni ragazzi, come tanti, che hanno dato attenzione, e quindi amore, gratuitamente e hanno salvato una vita. Ed è la storia di una donna che, nella semplicità del fare con passione il suo mestiere, ha insegnato ai suoi giovani studenti a provare emozioni e, così, ha salvato la loro vita.

Ed è una storia di gratitudine. Dalle interviste, i giovani alunni hanno raccontato di come la professoressa avesse trasmesso loro la passione per la letteratura. Hanno detto di averla vista piangere sui testi classici, di averla vista emozionarsi per una poesia. Alzi la mano chi vorrebbe avere avuto un maestro così, nella propria vita. E chi dice che questo non è possibile per via della mancanza di tempo, o si appella al numero troppo alto di studenti per classe, mente sapendo di mentire. Non che la scuola così come è strutturata oggi sia estranea a queste problematiche, anzi. Ma queste imperfezioni non possono e non devono diventare gli alibi per giustificare la mancanza di passione per il proprio mestiere che caratterizza tanti, forse troppi, insegnanti.

Quello che manca nel mondo della scuola, oggi, non sono docenti capaci di istruire, di insegnare “a leggere e a far di conto”. Mancano maestri capaci di educare all’attenzione, alla passione per lo studio, alla gioia che c’è nell’imparare. Nikos Kazantzakis diceva che gli insegnanti ideali sono quelli che si offrono come ponti, che invitano gli studenti a servirsi di loro per compiere la traversata e poi, a traversata compiuta, si ritirano indietro incoraggiandoli a fabbricare da soli ponti nuovi.

C’è bisogno di educatori che sappiano farsi ponti senza paura di mostrare la propria umanità. I giovani riescono ad identificarsi empaticamente con gli uomini, meno con i professori che si scordano di essere uomini. La credibilità di chi incarna la materia che insegna, è una lezione per la vita. Scoprire che ci si può emozionare per una poesia, che si può piangere e soffrire per un poema aiuta a scoprire la fragilità che è in noi, in tutti noi. Ad accettarla senza respingerla, a comprenderla per renderla consapevolezza. Non servirà a creare automaticamente professionisti eccelsi, ma a plasmare uomini eccezionali.

Ogni vita ha un potenziale da esprimere, che è la fonte segreta e inesauribile di ogni essere umano. Se non si trova questa fonte segreta, si precipita nel nulla, e dal nulla non si può che generare il nulla, mentre la vita genera vita.

Sogno una scuola che sia capace di mostrare ad ogni suo giovane come trovare la sua personale fonte segreta ed inesauribile. Uno spazio in cui ognuno trovi quello che ha da dare al mondo e cominci a lottare per realizzarlo. Una scuola in cui l’insegnante non si lasci abbagliare dalla presunzione di istruire, ma che faccia di tutto per “educere” , guidare  i propri ragazzi verso quella fonte segreta. Perchè nel deserto che ogni ragazzo porta inevitabilmente con sè, c’è il seme di una “ginestra”. Compito degli educatori è quello di prendersi cura del seme senza eliminare la temporalità delle stagioni: le piogge, le nevicate, i rigori dell’inverno, il vento e le bufere, il caldo e la siccità sono tutti elementi che fanno parte del processo, tutti elementi della vita, di cui il seme ha bisogno, così come ne ha bisogno un giovane. Prendersi cura del seme e lasciare che il fiore sia.

Sono le cose “inutili”, come la letteratura, la poesia che dobbiamo salvare, soprattutto a scuola. Perchè l’amore per le cose inutili, a volte, può salvare una vita.