«Diteli se la luce onde s’infiora 
vostra sustanza, rimarrà con voi 
etternalmente sì com’ell’è ora»

(Paradiso XIV, vv.13-15)

Il canto quattordicesimo del Paradiso potrebbe essere indicato come il “canto della luce”, punto e a capo. Nondimeno, proverò a suggerire qualche ragione per questa definizione a bruciapelo.

La narrazione è suddivisa in due distinte sezioni e contiene l’ascesa dal cielo quarto, dei sapienti, al cielo quinto, degli spiriti combattenti per la fede (anche se a me piace più pensare ai “testimoni” della fede, ma questo è un altro discorso: ricordo solo che il Vangelo è scritto in greco e che “testimone” in greco si dice “martyros”…).

Nella prima parte Salomone chiarisce un dubbio di Dante circa la risurrezione dei corpi: essa non solo non spegnerà la luminosità delle anime, ma anzi la farà rifulgere come non mai; nella seconda parte, il poeta vede apparire, in un cielo divenuto rosso fuoco, due scie luminose di anime che incrociandosi perpendicolarmente mostrano al centro la figura di Cristo: Dante confessa ancora una volta di non essere in grado di descrivere ciò che vede e si affida all’immaginazione del devoto lettore.

Ma il tema dominante, anticipavo, rimane quello della luce. Esso ritorna insistentemente in tutto il suo frasario. Mi azzardo a rievocarlo senza attardarmi in riferimenti puntuali: luce, chiarezza, lume, vision, raggio, fiamma, candor, folgòr, lume, rischiari, sfavillar, affocato, roggio, lucore, robbi, splendor, biancheggia, lampeggiava, albor, balenar, scintillando forte.

L’elenco è incompleto – perché, per scelta, non specifico quante volte la stessa parola ritorni, passando, ad esempio, dal singolare al plurale o viceversa – ma ritengo che sia più che sufficiente a cogliere il brillio di questo canto, una lucentezza che è negli occhi di Dante.

Sì, perché per vedere la luce bisogna mantenere gli occhi aperti e, se Dante arde per li occhi belli (v.131) di Beatrice, vien da chiedersi chi o cosa possa accendere il nostro sguardo.

Per conto mio, continuo ostinatamente a ritenere che aprire una finestra sia il modo più semplice per lasciare che la luce entri: di sicuro, mi pare un’azione molto più intelligente che urlare la paura o l’ossessione del buio.

La luce rimane sempre con e per noi, solo che non si decida di chiuderla fuori.

Francesco Bacone: «La prima creatura di Dio fu la luce».

Michael Straßfeld: «La luce si dona liberamente, riempiendo tutto lo spazio disponibile. Non cerca nulla in cambio; non chiede se si è amici o nemici. Si dà di per sé e non si risparmia mai».

Leonard Cohen: «C’è una crepa in ogni cosa ed è da lì che entra la luce».


FontePixabay.com rivisitato da Eich
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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...