Ernesto Spinelli e Gianfranco Buffardi

Se c’è una cosa che accomuna sia pure indirettamente due recenti testi, anche se di studiosi appartenenti a contesti culturali diversi ma accomunati dall’interesse per questioni riguardanti la psichiatria e la terapia esistenziale, è una frase dell’epistemologo francese Gaston Bachelard (1884-1962) che, dopo aver prodotto una serie di lavori sul pensiero fisico-matematico del primo Novecento,  ampliò i propri orizzonti ad altri campi come l’universo poetico   con la scoperta anche nel 1947 della Daseinsanalyse  di Ludwig Binswanger e di Roland Kuhn;  e tutto questo perché ligio ad uno dei principi-base del suo percorso, quello di considerarsi un ‘filosofo delle e tra le 24 ore’  (Odysseo, 6 agosto 2020) nel dare voce alle diverse dimensioni dell’uomo, quella cognitiva più di natura razionale o ‘diurna’ e quella onirico-immaginativa o ‘notturna’, e nel tentativo di renderle complementari: “spesso nel mezzo dei libri frutto del nostro lavoro solitario, abbiamo invidiato gli psichiatri ai quali la vita offre ogni giorno dei ‘casi’ nuovi”.

Su questa frase tenuta presente, ma arricchita dall’analisi  dello scambio epistolare tra Bachelard e Kuhn, viene a situarsi in maniera programmatica il fascicolo monografico della storica rivista francese “Revue de synthèse” dal titolo Philosophie de la psychiatrie, curato da Elisabetta Basso e Mireille Delbraccio (tomo 137, n. 1-2 2016); tale lavoro viene a situarsi in maniera autonoma  in tale ambito alla luce di studi condotti sul movimento fenomenologico in psichiatria e sul ruolo di Michel Foucault e dello stesso Binswanger con l’offrire un quadro critico della cosiddetta ‘nuova filosofia della psichiatria’ o ‘seconda fase  filosofica della psichiatria’, sviluppatasi in maniera particolare nei paesi anglosassoni in questi ultimi decenni, dopo la riscoperta della fondamentale opera di Karl Jaspers  Psicopatologia generale. L’obiettivo tipico e primario di un impegno del genere è quello di chiarirne lo statuto, le nosologie, i modi di  classificare il disagio mentale, le modalità della  non facile diagnosi insieme a quello della cura e nello stesso tempo di gettare le basi di una nuova relazione tra filosofia e psichiatria come hanno sottolineato nel 2006 gli autori dell’Oxford Textbook of Philosophy and Psychiatry, dove si evidenzia il  fatto che una sana riflessione di tipo filosofico “provoca del cambiamento” nella stessa pratica psichiatrica. Ma come sottolinea Elisabetta Basso, studiosa di Binswanger e dell’interesse di Michel Foucault per la Daseinanalyse, anche alla luce degli insegnamenti di Gaston Bachelard, è proprio attraverso la presa in carico di tali cambiamenti che si arriva a costruire una filosofia non dall’esterno della psichiatria, ma interna ai suoi specifici problemi, o meglio “un pensiero della psichiatria in atto” che si interroga criticamente e con “umiltà epistemologica su se stessa, sulle poste in gioco, le mancanze e i limiti ancora presenti oggi”; in tal modo, come insegna la psichiatria fenomenologico-esistenziale,  si prende atto del fatto fondamentale che in tale ambito si ha a che fare con dei ‘casi’ unici e a volte irripetibili che sfuggono ad interpretazioni di tipo naturalistico e riduzionistico, sempre in agguato.

Per evitare simili approdi, è necessario, pertanto, una forte riflessione epistemologica come sottolineano nell’altro lavoro  Ernesto Spinelli e Gianfranco Buffardi, Del significato e dell’esistenza. Dialogo sulla ricerca di senso in terapia esistenziale (Napoli, Ed. Melagrana, 2021, introduzione e postfazione  di Paola Pomponi), entrambi protagonisti a livello internazionale del movimento neoEsistenziale  per aver contribuito insieme ad altri ad elaborare una comune definizione di ET  nel World Committee of Existential Terapy, cosa non di poco conto per la costituzione di una comunità epistemica che si riconosce in base a determinati criteri. Il libro in forma dialogica, oltre ad essere arricchito di continui riferimenti a scrittori e filosofi da Yeats e Baudelaire a Canetti e Ortega Gasset e da Nietzsche e Husserl e Heidegger soprattutto da parte di Buffardi, infatti, è pieno di aspetti filosofici originali come lo ha considerato Eugenio Borgna che denuncia il fatto che nella disciplina psichiatrica ancora rari sono tentativi del genere rivolti a chiarirne i fondamenti teorici;  pur non facendo nessun tipo di riferimento alla frase bachelardiana, i due autori danno vita ad un serrato dialogo tale da far ‘invidiare’  chi filosofo o meno, pur attento  ed interessato a capire le complesse dinamiche della psiche umana, non può in prima persona fare esperienza dei numerosi ‘casi’ in cui emerge tale forte bisogno di senso, bisogno che a volte se non ben indirizzato può tramutarsi in disagio mentale.

Sia negli interventi di Ernesto Spinelli, il cui libro del 2015 Practicing Existential Therapy: The Relational World  è stato in un sondaggio su 1000 professionisti del settore riconosciuto come il testo odierno più influente nella pratica psicoterapica esistenziale, e sia in quelli di Gianfranco Buffardi, medico psichiatra e autore di  Bioetica quotidiana in psichiatria (2009) e  Il divano è meglio di Freud (2015) nonché  fondatore dell’Istituto di Scienze Umane ed Esistenziali insieme con la nuova Scuola di Psicoterapia neoEsistenziale, emerge la necessità di chiarire i principi di base che rendono la Terapia esistenziale diversa da altre forme di terapia  ma sempre col tenere presente le modalità con le quali tali principi concettuali “vengono messi in pratica nella stanza della terapia”; in tale stanza viene a svelarsi attraverso varie strade il bisogno della “ricerca di significato” in continua evoluzione, sempre frutto del Dasein e del modo di rapportarsi con gli altri, come afferma nell’introduzione la psicoterapeuta Paola Pomponi.  Per questo, quasi in stile bachelardiano, emerge un pensiero implicito nella psichiatria e nella prassi psicoterapeutica, un vero e proprio ‘pensiero in atto’ dove vengono fuori e si approfondiscono da parte soprattutto di Buffardi i contenuti  e i principi specifici con cui si rende ‘operativa’ la terapia esistenziale che si basa in maniera strutturale sul “concetto di senso e la sua costante ricerca da parte del singolo” sulla scia di Viktor Frankl che vedeva nella perdita di esso una delle cause di possibili malattie di tipo psichico.

Entrambi i dialoganti,  al di là di qualche divergenza, arrivano “al nocciolo del problema epistemologico della terapia esistenziale” ma in genere di tutte le psicoterapie e cioè la loro validità in base a determinati modelli  costruiti su “verifiche basate su ‘credenze a priori’ e per questo autoreferenziali”, come sottolinea con non comune sensibilità epistemica Buffardi grazie alla piena metabolizzazione di uno dei cardini di molto dibattito contemporaneo sulla ‘caducità’ dei criteri di scientifici contro chi cerca un modello della mente che abbia delle “‘certezze’ assiomatiche assunte in origine, desunte dagli scritti o dal pensiero del fondatore di una teoria”; in tal modo non è dunque un caso  che si denuncia il fatto che molti psicoterapeuti arrivano a “trasformare le loro scuole in sette dogmatiche” se non proprio “ideologie”, ad “abbracciare soluzioni causalistiche pur partendo da aspetti fenomenologici” e da singoli ‘casi’ con la conseguenza di screditare la psicoterapia esistenziale considerata una “filosofia più che una terapia” quando invece “qualsiasi forma di psicoterapia è, in realtà, una filosofia, propria a causa della fragilità dei presupposti ‘scientifici’ autoreferenziali”.

Per non scivolare nella Scilla del dogmatismo causalistico e nella Cariddi dello scetticismo, Buffardi è dell’avviso che il modello neoEsistenziale, come avviene ormai nel pensiero scientifico più avanzato, si deve basare sull”’integrazione dei saperi e delle metodologie”; lo psicoterapeuta  può lavorare “tranquillamente con un modello deterministico come quello biologico” senza necessariamente andare alla “ricerca di una causa”  ed in tal modo arriva a “comprendere l’altro senza giudicarlo, o meglio giudicandolo ma non invadendolo, grazie al lavoro di epochè” . Come sottolinea Spinelli,  il rapporto terapeutico è così un “respirare insieme” sulla scia di Jaspers che insisteva sul fatto che “il medico non è un tecnico, né un salvatore, ma solo un’esistenza per un’altra esistenza… che si realizza con l’altro, nell’altro” in Il medico nell’età della tecnica, opera che dovrebbe far parte oggi più che mai del bagaglio di fondo di ogni operatore sanitario dato il necessario e crescente supporto tecnologico a disposizione.

Per questo Buffardi, sulla scia di importanti idee espresse già negli anni ‘70 dall’antropofenomenologo Bruno Callieri sul ruolo delle distorsioni spaziali nelle varie forme di patologia, insiste a più riprese sullo “spazio terapeutico” che deve partire dallo spazio vissuto mutevole di ogni singolo individuo col dare adeguata considerazione, ad esempio, all’esperienza del lutto; il vivere da parte dello psicoterapeuta le modalità uniche e nello stesso tempo sempre diverse di ‘elaborazione’ del lutto con le “strategie di superamento di perdite significative” messe in atto è un processo dove per Spinelli “l’essere vivente tenta di creare una nuova versione di sé”, processo che nello spazio terapeutico per Buffardi   “necessita di ‘capabilities’” e deve trovare uno sbocco “armonico, anche se doloroso”. In tal modo, pertanto, si arriva a potenziare tali capacità di superamento di una situazione deficitaria che è il “focus di un lavoro in Psicoterapia Esistenziale” dove si prende in considerazione l’idea di essere d’aiuto ad una persona che non abbia una vera e propria patologia.

Acquista così un suo specifico senso l’affermazione di Gaston Bachelard relativa alla sua ‘invidia’ nei confronti degli psichiatri di impostazione esistenziale-fenomenologica che hanno a che fare con reali e singolari ‘casi’ di vite  con tutto il ricco portato di vissuto  non facilmente inquadrabile in schemi, modelli costruiti au dehors  e che rendono ‘caduchi’ i criteri che si adottano per interpretarle; se Gianfranco Buffardi  sulla scia di Husserl parla della necessità di effettuare una epochè nella prassi terapeutica, per parafrasare Bachelard si può dire che occorre essere nei confronti dei fatti umani ‘anabattisti’, cioè partire ogni volta da zero nei loro confronti, mettere da parte  le nostre presunte conoscenze sino ad abiurarle per cercarne di coglierne il reale significato e l’esprit unico che li caratterizza.


FontePhotocredits: Roberto Strafella
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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.