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“Poter addormentarsi quando si è stanchi e poter deporre un peso che si è portato per tanto tempo, è una delizia, è un fatto meraviglioso”
(Hermann Hesse)
Quello era un giorno uguale a tutti gli altri giorni, del resto tutti i giorni fondamentalmente lo sono. La differenza sta in ognuno di noi, in quello che ci rimanda lo specchio, in quello su cui contiamo per mettere il passo sul gradino successivo, in noi stessi.
C’era una volta una persona e poi c’era Lucia che quella persona l’aveva tenuta seduta davanti per una vita, l’aveva elogiata, l’aveva rimproverata, compatita, sostenuta, presa a schiaffi e, quando non era bastato, l’aveva presa pure a calci.
Si fosse tirata indietro una volta, quell’altra, che fosse stata una.
E pareva invulnerabile, come diavolo faceva non si era capito. In verità se lo chiedevano tutti, inclusi gli stupidi che non potevano in alcun modo vedere quanto non fosse invincibile.
In verità ogni volta che ricominciava, era lei a dare una botta a Lucia.
Quell’altra aveva sempre un trucco nascosto nella manica, ormai anche Lucia se lo aspettava. Tac, magia. Il potere di Grayskull. Doveva aver guardato tanti di quei cartoni animati anti Candy Candy da essere diventata una di loro. Non a caso, quella scema, di Candy Candy non aveva nemmeno una lentiggine.
Tutto così, più o meno, fino a quel giorno in cui l’aveva spaventata. Sì, Lucia s’era spaventata.
“249-251, te le ricordi?”, chiese quell’altra a bruciapelo.
“E certo! Le date della persecuzione di Decio”, rispose flaccida Lucia.
“Brava, per questo prendevi sempre le lodi tu, studiavi assai! Ora allora impara questo: io conservo lo stesso odium humani generis e la medesima coscienza di quel popolo perseguitato. Sento di sapere cosa sia una persecuzione, ma non quella della storia, che pare un racconto finto. Io la sento vera e tangibile; in più ricordo bene pure come finivano i martiri. Inclusi quelli che sceglievano di mettere termine a loro stessi per volontà propria, senza aspettare oltre”.
“Cosa cazzo vuoi dire, di preciso?”, incalzò Lucia, concedendosi l’impertinenza perché le stava salendo la pressione.
“Hai capito benissimo cosa intendo. Il Mago Otelma potrebbe chiudere i battenti. Sotto terra, le ardue sentenze hanno senza dubbio un altro sapore”.
Lucia aveva capito… allora ci provò:
“Ti ricordo che, ad un certo punto della follia, hanno riesumato il cadavere di Formoso per processarlo pure da morto. Non credo sia una soluzione”.
Sperava, così, con una battuta mista ad amarezza, di dissuadere quell’altra dal pensiero più cretino avesse mai fatto.
“Lo so molto bene”, rispose quella scema e poi continuò: “Ad ogni modo Formoso era cadavere ed oggi quelli ricordati come deficienti sono coloro che lo hanno tirato fuori”.
Le conversazioni macabre del sabato mattina.
Sapete qual è il vero guaio? Che Lucia non stava parlando con nessuno. Era una conversazione fra lei e sé stessa. Di quelle che fanno trasalire.
Se ne era convinta quella mattina: la vita umana si sgretola, la volontà finisce, la forza viene meno e, a volte, l’unico atto possibile per salvarsi sembra essere uno: togliersela la vita, perché quando deve essere controllata come quella dei burattini, non ha più alcun valore.
Quella parte di mondo che non se ne era sufficientemente occupato, avrebbe potuto continuare benissimo a farne a meno. Chi invece aveva reso possibile una tale pazzia, avrebbe finalmente dovuto farne a meno. In un modo o nell’altro, la parola fine, quando si tratta di inferno, bisogna scriverla.
Il problema era che Lucia sapeva riconoscerla, quando la vedeva scritta. Il mondo, troppo spesso no. Stava pensando di scriverla?
Vi ho raccontato questa storia così come si è presentata a me, alla mia mente ed a tutti i miei sensi, come quella di chi non ha più un solo briciolo di forza; in passato avrei reagito male, adesso invece sono stata invasa da un profondo ed inspiegabile senso di comprensione per un certo genere di sfinimento.
Il punto è che io ho imparato che i soliloqui, specie della gente che non sa fare vittimismo spicciolo, sono quanto di più pericoloso esista e sono stata sollevata dal fatto che ci sia stata la voglia di tirarlo fuori, quel soliloquio. Era buon segno, significava che Lucia aveva intravisto la possibilità che i suoi pensieri, legittimi, avessero profilato un epilogo esattamente equivalente ad una cazzata.
Così ho fatto quello che so fare meglio: regalarle un libro, “La stanza delle chiavi antiche” di Elena Mikhalkova.
“Nei periodi difficili, vai a vanti a piccoli passi. Fai ciò che devi fare, ma poco alla volta. Non pensare al futuro, nemmeno a quello che potrebbe accadere domani. Lava i piatti. Togli la polvere. Scrivi una lettera. Fai una minestra. Vedi? Stai andando avanti passo dopo passo. Fai un passo e fermati. Riposati. Fatti i complimenti. Fai un altro passo. Poi un altro. Non te ne accorgerai, ma i tuoi passi diventeranno sempre più grandi. E verrà il tempo, quando potrai pensare al futuro senza piangere”.