«La citazione è un sostituto utile per l’intelligenza»

(Oscar Wilde)

L’uomo intelligente si adatta: modifica i suoi modi di fare per affrontare le ostilità.

L’uomo intelligente ammette di non sapere: non ha timore a dirlo, poiché se non sa, può imparare.

L’uomo intelligente è curioso: esattamente ciò che Einstein diceva di sé.

L’uomo intelligente è aperto: il valore nominale delle cose non è affar suo, lui scava.

L’uomo intelligente è solitario: fa fatica a socializzare.

L’uomo intelligente è empatico: le emozioni del prossimo, ancora, lo aiutano ad imparare.

L’uomo intelligente è dotato di autocontrollo: non è impulsivo e riesce a dominare le correnti, in vista del risultato migliore.

L’uomo intelligente è simpatico: ha sense of humor e ironizza su sé stesso, prima che sugli altri.

L’uomo intelligente procrastina: sceglie una destinazione e la persegue, rimandando il resto, senza per questo trascurarlo.

L’uomo intelligente si chiede ‘perché?’. Ecco, l’uomo intelligente è ansioso: vede le sfumature e sa qual è il numero di variabili possibili perché qualcosa vada male. Per onestà intellettuale, si angoscia.

Ora io dedico un pensiero all’uomo intelligente che si smussa, ammette, cerca, si apre, fatica, si controlla, ride, fa ridere, rimanda, sente: vogliamo fargli una colpa del suo essere inquieto?

Si preoccupa, ha qualità linguistica e verbale, padronanza di linguaggio e scrittura. Così spiega, convince e insegna.

Sarà che la beata stupidità trattiene le parole e non si impegna. Sta comoda. Non analizza, non usa il pensiero critico. E ci avrebbe portati tutti all’estinzione anticipata.

Credo, infatti, sia l’analisi critica delle cose che metta in moto i grandi meccanismi di protezione che devono aver visto i grandi uomini della storia,  in modo paradossalmente creativo; così creativo da scriverla, quella storia.

Questa potrebbe essere una visione antropo-sociologica, lo capisco, ma è questo quello che penso.

L’uomo intelligente alla fine della solfa, ci salva.

E credo che nel panorama degli uomini di fama, spesso melensi e baccelloni, ci sia un particolare uomo intelligente, che certamente sarà stanchissimo, come ognuno di loro, eppure, crede.

Lo condivido con te che stai leggendo, che probabilmente conoscerai le parole che seguiranno e certamente saprai chi è Simone Cristicchi.

Una nota in anticipo: anni fa voleva cantare come Biagio Antonacci ed io ridevo di gusto quando lo ascoltavo e con lui cantavo, pensando che sì, c’era qualcosa di molto simile al guizzo in quello strano tipo.

Ci avevo visto bene, il guizzo c’era e probabilmente era solo in nuce. Perché Simone Cristicchi crede e mi ha ricordato che anche io credo, sebbene non l’abbia mai dimenticato.

Leggilo con me, se ne hai voglia:

CREDO

 «Credo nello sguardo della Gioconda e nei disegni dei bambini. Nell’odore dei panni stesi, del ciambellone e in quello delle mani di mia madre.
Credo che quando la barbarie diventa normalità, la tenerezza è l’unica insurrezione.
Credo che la vera gioia è riuscire a sentirsi parte di un paesaggio incantevole, pur non essendo altro che un granello di sabbia.
Credo che la lingua di Dio è il silenzio, e il suo corpo la Natura.
Credo che non siano le grandi rivoluzioni o le ideologie, ma i piccoli gesti a cambiare il mondo perché niente è più grande delle piccole cose.
Credo alla potenza del soffione, quel piccolo fiore selvatico che cresce ostinato tra le pieghe dell’asfalto e che anche tra mille difficoltà, riesce comunque a germogliare e a diventare fiore.

Credo che chi non vive il presente, sarà sempre imperfetto. Anche da trapassato.
Credo che la vera sfida è debuttare ogni giorno, tutto il resto è repertorio.
Credo che chi ha bisogno di nemici, non è in pace con se stesso.
E credo che non sia la bellezza che salverà il mondo, ma siamo noi che dobbiamo salvare la bellezza.
Credo che non bisogna cercare la felicità, ma solo proteggerla.
Credo che non c’è peggior peccato che non stupirsi più di niente e che tutta l’intelligenza e la cultura del mondo resti muta e si inchini davanti a questo grande mistero, al miracolo di questa vita che va avanti, nonostante tutto, che non si ferma, che si trasforma ogni secondo.
Perché la vita è l’unico miracolo a cui non puoi non credere.

(E tutto il resto, tutto quello che non sappiamo, lo chiederemo agli alberi)

(Simone)

Grazie, che si fa e non si dice, ancora una volta a te che leggi, per aver avuto fiducia ed aver scelto di  accompagnarmi fino all’ultimo rigo di questo OltreVerso.

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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.