
Il contributo di Antonio Sgobba
Può sembrare a prima vista stravagante o quanto meno privo di senso il fatto di abbinare insieme conoscenza ed ignoranza, ma la stessa storia delle vicende umane, al di là del pensiero filosofico-scientifico che si regge per sua natura storico-concettuale su tale binomio, è stata una continua messa in scena del loro stretto rapporto, come viene bene evidenziato nelle diverse articolazioni da Antonio Sgobba, giornalista RAI, nel poderoso volume Il paradosso dell’ignoranza da Socrate a Google, (Milano, Il Saggiatore 2017); grazie ad una non comune conoscenza dei ricchi dibattiti emersi negli ultimi anni in vari settori, dalle scienze sociali allo stesso discorso epistemologico, per il peso sempre più rilevante assunto dalle tecnologie dell’informazione, Sgobba ci offre un panorama dettagliato di un mondo ancora poco scandagliato, ma che si sta rilevando sempre più cruciale per la tenuta stessa dei sistemi democratici. Non a caso la sua attenzione si concentra sui recenti sforzi di uno storico della scienza come Robert Proctor che, a partire dai primi anni di questo secolo, ha dato un contributo non secondario negli Stati Uniti allo sviluppo di una particolare disciplina, chiamata agnotologia con l’obiettivo di capire il ruolo di quelle che vengono definite ‘le fabbriche dell’ignoranza’; tale ambito di indagine, che solo ultimamente sta diventando centrale nella riflessione filosofica sino a costituire un capitolo della cosiddetta epistemologia sociale, è sempre più oggetto di ulteriori approfondimenti in vari paesi, come risulta ad esempio nel volume Science and the Production of Ignorance del 2020, a cura di Janet Kourany e Martin Carrier, e da studi condotti anche in Italia da Lorenzo Magnani e dalla sua scuola in una prospettiva eco-cognitiva dei processi conoscitivi, già presa in esame su Odysseo.
Il volume di Sgobba non si rivela solo un’articolata analisi delle problematiche di tale nuovo campo di studio che oscilla dalla sociologia e dalla psicologia all’antropologia e alla filosofia sociale, ma entra nei tortuosi dibattiti che da Socrate in poi ha caratterizzato il pensiero occidentale e il suo lungo interrogarsi sul rapporto conoscenza/ignoranza, sui limiti della ragione e sui diversi tentativi di ‘sconfiggere l’ignoranza’; essa è stata percepita a volte come ‘assenza di conoscenza’ sino ad arrivare a fare delle distinzioni tra ‘ignoranza consapevole’ (il socratico sapere di non sapere) ed ‘ignoranza inconsapevole’ (l’effetto Dunning-Kruger che spiega come si ha ‘scarsa consapevolezza’ della propria ignoranza sino a procurarsi ‘l’autoinganno’ o ‘falsa credenza’). Con uno stile chiaro e nello stesso tempo denso concettualmente, anche grazie a continui riferimenti ad opere letterarie che gli hanno permesso di allargare il discorso, Sgobba ripercorre i contributi dati da diversi scienziati durante i secoli e i ricchi dibattiti avvenuti nell’epistemologia contemporanea, tesi a chiarire i contorni dell’’Isola della Conoscenza’ e nello stesso tempo a prendere criticamente coscienza dell’’Oceano dell’Ignoranza’ col parafrasare la celebre metafora di Newton del ‘grande oceano della verità che si stende inesplorato dinanzi a me’.
Molto interessanti a tale proposito sono i capitoli dedicati ai secoli XVIII e XIX che vanno dall’ideale di intelligenza di Laplace, teso alla realizzazione di una ‘onniscienza’, all’ammissione nel 1872, in piena euforia positivistica, da parte di uno scienziato fisiologo, come Emil Du Bois-Reymond, di un drammatico Ignorabimus: cioè più si entra nel campo del conoscibile più ci rendiamo conto di ciò che non si sa, a partire dallo studio della materia, poi oggetto specifico della meccanica quantistica, e della coscienza ancora oggi al centro dell’attenzione per gli enigmi insolubili che la contraddistinguono, nonostante la presenza in vari ambienti di posizioni ‘ciberfrenologiche’ convinte di poter ‘comprendere tutto dell’uomo attraverso neuroimmagini’. Sgobba analizza con senso epistemico adeguato la famosa affermazione, ritenuta ancora valida, di Du Bois-Reymond, relativa al fatto che di fronte agli enigmi del mondo, l’atteggiamento da tenere è l’Ignorabimus; tale affermazione, contenuta in Limiti della scienza ed opera poi subito tradotta in diverse lingue, scatenò una furiosa polemica sino a sembrare ‘l’esplosione inaspettata di una mina’ per lo più in una Università di Berlino e, aggiunge Sgobba, ‘raramente (forse mai) l’epistemologia ha infiammato l’opinione pubblica come avvenne in quel periodo’. Al di là dei numerosi dibattiti che proseguiranno nei primi decenni del XX secolo da parte di coloro che daranno vita al neopositivismo logico sino ad arrivare a figure come Ludwig Wittgenstein e Ernst Cassirer, intervennero vari scienziati che reagirono violentemente tanto che lo stesso Du Bois-Reymond nel 1876 ribadì comunque ‘la fiducia nella ragione‘ e ‘al suo ignorabimus si accompagnava un instancabile laboremus’, come viene espresso in un’opera successiva del 1880 dal significativo titolo I sette enigmi del mondo, molti dei quali ancora oggi rimasti tali come il fine della natura e l’origine del pensiero, analizzata da Sgobba alla luce dello scritto di Hermann Broch, L’incognita del 1933.
Ma dove Il paradosso dell’ignoranza svela la sua estrema attualità, insieme sociale e politica, è nell’analisi delle ‘lezioni’ di agnotologia che, sulla scia degli studi di Proctor, è definita ‘lo studio degli atti volontari che diffondono confusione e inganno con lo scopo di difendere interessi economici’, dove dunque l’ignoranza non è frutto di una omissione, ma frutto di un ‘piano politico’, di ‘una produzione attiva, fabbricata come parte di un piano deliberato’ da parte ‘di potenti agenti che vogliono che tu non sappia’. Come c’è la figura professionale dell’epistemologo votato a chiarire i processi veritativi messi in atto nelle singole scienze, così esiste la figura dell’agnotologo teso a studiare i molteplici ‘meccanismi di produzione o conservazione dell’ignoranza’ e cioè ‘omissione deliberata o involontaria, segretezza, distruzione di documenti, difesa delle credenze tradizionali, selettività imposta dalla cultura o dalla politica’. Pertanto ‘la lista dei fabbricanti di ignoranza’ per Proctor e per gli agnotologi è ‘lunga’ a partire ad esempio da chi produceva le sigarette, da chi nega l’evidenza dei cambiamenti climatici, da chi procura coscientemente confusione nei dibattiti politici e non, dove prende piede la ‘rivincita degli ignoranti’.
Ma al di là di questa visione ‘complottista’ nella fabbricazione dell’ignoranza evidenziata da certi studi di agnotologia, Sgobba ne evidenzia altre forme e alla classica idea ‘conoscenza è potere’ va aggiunta un’altra ‘l’ignoranza è potere’, dove ci sono veri e propri funzionari, ‘manager dell’ignoto’, dotati di uno ‘stile manageriale’ nell’utilizzo di certi tipi più sofisticati di ignoranza. Ma questo tipo di ‘ignoranza strategica e meditata’ viene costruita anche con l’aiuto di ‘collaboratori’ come ad esempio possono essere i giornalisti; pur essendo i loro valori ispirati ai ‘valori epistemologici dell’oggettività, della correttezza, dell’equilibrio’, si prestano a diventare spesso ‘giornalisti privi di conoscenza’ , ‘megafoni’ e ‘veicoli di ignoranza’ che ‘porta facilmente all’errore’, dove paradossalmente la maggiore informazione, amplificata su Internet, si traduce in sistematica ‘disinformazione direttamente proporzionale’ dove giocano un ruolo non secondario abitudini come ‘la par condicio su storie controverse, il ricorso al sensazionalismo, gli obblighi organizzativi dell’azienda, gli interessi degli editori, la cultura e l’ideologia’ entro cui si trovano ad operare. In tal modo non solo si aumenta la confusione tra le persone, ma si riempiono le loro teste di ‘dati, fatti e teorie falsi che possono portare a conclusioni sbagliate che poi sosterranno con tenace sicurezza ed estrema partigianeria’; poi diventa quasi inevitabile che ‘l’ignoranza di sé che diventa ignoranza del mondo assume le proporzioni di fenomeno di massa grazie alle nuove tecnologie’.
Non manca però da parte di Sgobba, nell’ultima parte del volume dove grazie ad altri recenti studi di sociologia della scienza e sempre con l’aiuto di validi riferimenti ad opere letterarie, un’analisi di quello che viene chiamato ‘atto emancipatorio’ dell’ignoranza, quasi ‘una benedizione’ nel senso che nel fare i conti con essa costringe a cercarsi uno ‘spazio di autonomia’, un minimo di ‘dignità’ e di ‘resistenza’ sino a prendere atto che ‘l’ignoranza è una via di mezzo tra verità ed errore. Sta a noi scegliere quale strada prendere’. Non a caso viene invocata una certa ‘idea laica e illuministica di ignoranza’, quella esposta da Pierre Bayle che nel 1685 invitava l’uomo a scontrarsi con la sua ‘ignoranza invincibile’, a convivere tra i bordi del noto e dell’ignoto, tra l’ignoranza e l’errore, senza cadere in posizioni pessimistiche e dogmatiche, con la coscienza poi ben descritta da D’Alembert nel Discorso preliminare all’Encyclopédie che ‘più un’epoca è rozza, più crede di possedere tutto lo scibile’.