
Caro direttore,
Ho “visto”, è chiara ora questa oscurità:
è nella lotta, nel resistere che si creano attrito e dolore. Nell’aggrapparsi disperatamente a qualcosa che ora si sta sciogliendo. Serve abbandonarsi al vuoto, abitarlo, entrare davvero nel nostro tempio. Come per la prima volta dentro di noi e lì aprirsi allo spazio infinito, semplicemente al silenzio. Terrifico e decisivo. Senza aspettativa. Senza più la misura di sé. Lasciare il fare. Lasciare la fisionomia. Lasciare che la paura di quel vuoto faccia tempesta e sconquassi ogni vecchiume. Nessuna boa, nessuna riva all’orizzonte! Nessun salvagente. Non si baratta più, il cuore non ha mercato, non si mette sulla bilancia della convenienza! Lasciare andare, lasciarsi andare. Piangere per i pezzi di sé che si strapperanno, vestirli con amorevolezza e compassione e prepararli per l’ultimo saluto, per la cerimonia dell’abbandono. Accettare la sfida e imparare la morte. Accettare la morte.
Stiamo imparando a morire…da vivi!
Noi non sapevamo che il centro fosse centro, lo credevamo periferia, perciò si perdeva l’equilibrio.