Siamo diciottesimi in Europa…

Con il suo congedo di paternità di 10 giorni, l’Italia si colloca al diciottesimo posto in Europa per lunghezza dei permessi lavorativi riservati ai padri. Il primato è della Spagna, che ha promosso l’equità di permessi. Imbarazzante, doppiamente se si considera che il provvedimento italiano che ha “concesso” il permesso lavorativo ai neo papà risale solo al 2013. Con la logica conseguenza che lavoro e maternità sono sempre più inconciliabili.

Eppure, alcuni titoli di giornali inneggiano al cambiamento. Si parla sempre più spesso di datori di lavoro che premiano con l’assunzione coloro che “confessano” di essere gravide. E siccome le parole sono importanti, vale la pena ricordare che il termine “confessare” è usato per reati e peccati, per cose brutte insomma. E allora cosa celebrano i giornali? E noi cosa abbiamo celebrato la scorsa settimana? Ah si, la mamma. Le mamme.

“Panem et circenses” direbbero i latini, “pane e circo”: per la serie facciamo festa per non pensare. Anche perché, probabilmente, mancano gli strumenti per pensare. Non sto demonizzando la Festa della Mamma, assolutamente. Sto dicendo che dobbiamo riflettere, forse boicottare, di certo reimparare a parlare.

Perché festeggiare le mamme a suon di post e messaggi su quanto siano “speciali”, su quanto sia unico il loro modo di prendersi “cura” della famiglia, significa alimentare una cultura incapace di avviare quei processi sociali che sono sempre alla base dei cambiamenti legislativi di un certo livello. Perché? È semplice: in una società in cui la cura ricade solo sulla madre, non c’è bisogno di allungare il congedo dei padri. No no, non è stato detto questo; è stato solo specificato che il loro modo di prendersi cura della famiglia è “speciale”. Peggio. Le ipercelebrazioni sono subdole perché alimentano silenziosamente gli stereotipi.

“Speciale” è usato come sinonimo di “eccezionale”, “straordinario”, ma dentro c’è il latino spicio, ossia “guardare”. E forse le madri sono ancora “guardate” unicamente per la cura che instancabilmente, notte e giorno, riservano ai loro figli. Allora, per allungare i congedi, occorre che allarghiamo lo sguardo a cos’altro una madre è: una donna, una studentessa, una professionista, qualcuno con un sogno nel cassetto magari.

Allora, prima di digitare i nostri proclami, dovremmo pulirci occhi e occhiali, reimparare a guardare e parlare, resistendo alla tentazione di zittire e di credere che tutti i passi in avanti possibili sono stati già compiuti. E dovremmo imparare a far festa senza ipercelebrare, mantenendo la sobrietà di chi ha i piedi ben piantati a terra e non ha bisogno di elevare nessuno ad altezze mistiche, perché è concentrato nell’ordinario.

Quell’ordinario che ci restituisce il dovere della cura come minimo comun denominatore dell’umano, giacché etimologicamente il termine è connesso a “cuore”. E le cose di cuore non hanno genere, né ruolo, né specie, né specialità.


FonteFoto di Juliane Liebermann su Unsplash
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Sono un'insegnante, anche se il più delle volte sono io quella in-segnata dai miei studenti. Sono una ricercatrice, perché cerco piste di rilevanza pubblica per una materia troppo fraintesa e troppo di nicchia: la teologia. Sono una giornalista e faccio cose con le parole. "Quello che non ho è quel che non mi manca" (F. De André) e sono immensamente grata alla vita perché, non senza impegno e sacrificio, "ho trovato amore nel mezzo de la via, in abito legger di peregrino" (Dante Alighieri, Vita nova)

2 COMMENTI

  1. Tutto così vero e semplice da comprendere. Bellissimo articolo che dovrebbero leggere in molti. Purtroppo l’aspetto commerciale delle feste non fa altro che alimentare certi stereotipi e pregiudizi in generale!

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