
In essa il “finis”, la “delimitazione”, si accompagna al “cum” della relazione.
L’istante in cui nasce un bambino nascono anche una mamma e un papà. Senza particolare controllo, senza nemmeno sforzi volontaristici, si attiva una macchina di cura e, a detta della psicologia, l’autostima dell’uomo e della donna di domani dipendono strettamente da essa. E mentre papà e mamma si sforzano di decifrare bisogni, esigenze e disagi di una creaturina che comunica ogni cosa solo con il pianto, si ritrovano a ricevere una lezione di vita incredibile. Sì, perché accanto a latte e pannolini il neonato ha bisogno di qualcosa che proprio non si immagina: il confine.
Dopo nove mesi in uno spazio ristretto e protetto, il neonato affronta un mondo chiassoso e grande, troppo grande. A partire dalla culla tanto amorevolmente preparata, così fredda e dispersiva da preferirle volentieri le calde braccia umane. E mentre nonni, zii, prozii, cugini di decimo grado e affini suggeriscono ai neogenitori di non “viziare” il neonato, psicologia e pedagogia ripetono all’unisono che il contatto pelle a pelle resta una certezza, nella forma di un confine stabile e affidabile, di un essere umano inconsapevole di tutto, persino di essere nato, persino di avere una vita ormai separata e autonoma rispetto al corpo materno. Si, sono cose che realizza lentamente e non senza trauma. E i confini lo salvano dal senso di dispersione, lo aiutano a maturare nella paura e soprattutto nella fiducia verso il prossimo, a cominciare dalle persone più vicine.
Strano? Incredibile? Forse. Certo è che, man mano che si cresce il confine comincia ad essere un problema. L’adolescente, ad esempio, lo combatte in tutte le sue forme e con tutte le sue forze. Ma certi adulti non sono da meno, nonostante l’età li autorizzi a sentirsi a posto, avanti rispetto al neonato e all’adolescente capricciosi. Basta provare a dire “no”, a correggere, ad esprimere un’idea discordante per rendersi conto che nel mondo degli adulti c’è un serio problema di accoglienza e pacificazione con le fisiologiche delimitazioni della vita e della vita di relazione. Da neomamma, ad esempio, mi è recentemente capitato di percepire l’offesa da chi insisteva nel voler vedere il mio bambino attraverso i social e si è sentito rispondere che io e mio marito, per una precisa scelta, non condividiamo sue foto attraverso questi canali, nei quali purtroppo l’utenza non rispetta alcun limite all’umana decenza e vive di un’esasperata condivisione di tutto. Nulla di più facile che una foto condivisa ingenuamente inizi a fare il giro del mondo attraverso un inoltro senza misura!
“Confine” è una parola bellissima: in essa il “finis”, la “delimitazione”, si accompagna al “cum” della relazione. Come mai? Perché mettere i paletti, tracciare i contorni aiuta a distinguere e, proprio per questo motivo, unisce in maniera sana, rende “affini”, familiari, simili, vicini. Paradossale? Forse nella nostra mente immatura, in cui la relazione è più incline alla mescolanza che alla separazione che unisce. Secoli fa del Dio dei cristiani fu detto che era uno e trino nel senso che le persone divine erano unite “senza confusione e senza separazione”. Non c’è analogia più bella da applicare alla nostra vita relazionale.
Dovremmo benedire chi ogni tanto ci riporta nei margini, salvandoci da pericolose sbavature. No, non si tratta di un nemico, ma di un alleato prezioso per la nostra crescita e per la maturazione dei nostri legami. Il neonato che cerca contemporaneamente contatto e confine lo sa bene. Forse dovremmo solo sederci alla sua scuola e imparare con gratitudine e stupore.
Complimenti!💓