Sì, ma come?

Giorni fa ho discusso con una collega che, sul suo profilo facebook, ha paragonato una sua personale delusione amorosa alle mutilazioni genitali femminili. Le ho consigliato la lettura di alcune testimonianze di donne sottoposte a questa pratica disumana e infernale per misurare correttamente i propri drammi.

Che cos’è la misura? Tecnicamente è un valore numerico pari al rapporto tra grandezze, tra le quali una è assunta come unità. Misurare cose, parole, azioni, omissioni, responsabilità, evitando dismisure tragicomiche, esagerazioni, distorsioni, sproporzioni interiori e, quindi, esteriori, è vitale. Avere “senso della misura” urge, ad esempio, sui social. Non che i social siano il male assoluto: considerarli tale è un esempio di dismisura, oltre di ingenuità e moralismo, tipico di chi per primo ne abusa. Inserirli correttamente nel quotidiano è possibile e soprattutto doveroso, perché il virtuale non è l’opposto del reale, piuttosto ne è parte integrante e, spesso, inequivocabile espressione. Quante cose si capiscono di noi da ciò che pubblichiamo, nostro malgrado e nonostante lo sforzo di voler apparire “altri”, “discreti”, “virtuosi”, “liberi”, “avanguardisti”.

Comunque, social o meno, la questione scalpita: vi è di mezzo la serenità, l’armonia, altri nomi di un termine tecnico che tanto ha a che fare con le misurazioni: la proporzione. Avere senso della misura, in effetti, porta a proporzionare spazi ed elementi, dunque preoccupazioni e situazioni, precauzioni e pericoli, insistenze e limiti. Oltre a non esagerare con gli elogi, non risparmiare disponibilità, non scadere in presenze intermittenti, nelle quali si oscilla dall’invadenza all’assenza totale, non cambiare atteggiamento o parere in base a persone e circostanze, tutte situazioni nelle quali l’assenza di proporzione genera imbarazzo e si fa portavoce di drammatiche carenze di serenità.

Ma come si fa? Qual è l’unità di misura per…avere senso della misura?

È la realtà. Oltre ogni analisi sfiancante, terreno fertile di assurdità ed esagerazioni, il reale ci ridimensiona, perché ci restituisce le corrette proporzioni per vivere e per lasciar vivere. Abbracciare il reale significa relativizzare il proprio ruolo e la propria posizione nei contesti che di volta in volta ci vedono protagonisti, rinunciando all’egocentrismo (anche quello negativo del “capitano tutte a me”, “è sempre colpa mia”, “ecco, ce l’ha con me” etc.). Immergersi nel reale porta a guarire dal semplicismo del causa-effetto e ad aprire gli occhi sulla complessità delle cose, spesso destinate a restare senza risposta, senza causa e senza colpevoli da perseguire pubblicamente. Coltivare il reale porta a svegliarsi dalle illusioni dell’aut-aut e a preferire un sano et-et, in cui le sfumature infinite ci spodestano dal controllo estenuante del bianco e del nero. Riappropriarsi della realtà significa imparare a discernere le questioni realmente importanti, tralasciando quelle da mollare senza remore, anche a costo di rinunciare al podio della ragione. La serenità è più importante di certe vittorie, che in proporzione a problemi mondiali assumono una piccolezza imbarazzante.

“L’uomo è misura di tutte le cose” disse Protagora. Ma forse altrettanto vero è che “le cose sono misura dell’uomo”, le cose d’ogni giorno, grandi e piccole, noiose e ripetitive, che ci insegnano a misurare e a misurarci perché ci ricollocano negli spazi da abitare, ci riportano con i piedi per terra, ci costringono a rifare le misurazioni di pensieri e parole e a scoprirci in nuove proporzioni esistenziali, dove non siamo né più grandi né più piccoli, ma semplicemente al posto giusto.


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Sono un'insegnante, anche se il più delle volte sono io quella in-segnata dai miei studenti. Sono una ricercatrice, perché cerco piste di rilevanza pubblica per una materia troppo fraintesa e troppo di nicchia: la teologia. Sono una giornalista e faccio cose con le parole. "Quello che non ho è quel che non mi manca" (F. De André) e sono immensamente grata alla vita perché, non senza impegno e sacrificio, "ho trovato amore nel mezzo de la via, in abito legger di peregrino" (Dante Alighieri, Vita nova)

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