C’era una volta il bel segno di pace…

scattava spontaneo ad un cenno del prete,

più di parole e concetti loquace.

 

Vedevi all’istante formarsi una rete

di mani e di braccia all’altro protese,

diverse esperienze… ormai già desuete:

 

trovavi la mano un po’ timida al tatto,

quella robusta, callosa, forzuta,

quella al contatto ritrarsi di scatto;

 

quella sudata, un po’ fredda, sparuta,

quella di anelli fatta vetrina,

quella del bimbo, felice e minuta.

 

Di strette di mano ne avevi a decina.

Ma or, son tre anni che questo è cambiato,

che l’uno all’altro ossequioso s’inchina

 

quasi si fosse in nipponico stato…

Fa niente che il virus non fa più notizia:

la stretta di mano è un ricordo passato.

 

Smettiamo le vesti di tale pigrizia!

Torniamo a far nostra l’usanza ch’è ita!

A Quel che seguiamo faremo giustizia:

 

 

a Lui, che a Tommaso, prese le dita,

poste se l’è nel fianco trafitto…

a Chi, per ridare a due occhi la vita

 

per terra sputò deciso e diritto,

del fango vi fece e lo mise sugli occhi,

com’avesse l’igiene a gran dispitto!

 

C’insegna che l’uomo ha bisogno di tocchi,

che esiste un contagio che non fa clamore

non passa attraverso le pulci e i pidocchi…

 

terribile morbo: “Sclerosi del cuore”!

Che non ci succeda che per troppa igiene

in quarantena rimanga l’amore:

 

ritorni a diffondersi il gesto del bene.

Ascolta la “C’era una volta il bel segno di pace” interpretato da Giuseppe Porro:


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Giuseppe Porro nasce ad Andria nel 1985, vive in Seminario gli anni della sua fanciullezza e adolescenza. Frequenta il Liceo Classico “Carlo Troya” e si laurea in Lettere presso l’Università di Bari. Dal 2015 vive a Martina Franca con sua moglie e le sue figlie. Da sempre amante della poesia, l’endecasillabo lo diverte particolarmente: Per gioco cominciai al cento die convivio, i pari miei per allietare, vincendo primordiali retrosie dinnanzi ai prof non temmi di parlare: usai da dilettante il bello metro, per dare ai brindisi una veste un po’ più ilare. Ridea di gusto, vetusta, la Di Pietro, la Tarantini, ch’avvampa di vermiglio e la teatrale musa Notarpietro. Da allora quando carta e penna piglio, se voglio raccontare di qualcosa, m’imbarco in ‘sì nobile naviglio che può suonar più dolce della prosa.

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