Cattedrali. Le premesse – Il prototipo – L’epilogo

Le premesse

Volgeva l’anno Mille e attendevamo la fine del mondo. E invece di morire siamo rinati e rinascendo abbiamo costruito cattedrali. Tra l’XI e il XII secolo i cantieri erano quasi tutti avviati e nel Duecento suppellettili e decori concludevano una sontuosa stagione costruttiva.

Longeve e consolidate classificazioni ci hanno insegnato a definirle romaniche nella struttura e gotiche negli arredi. E di fatto lo sono. Ma senza dimenticare che schematizzare (troppo spesso semplificando) la graduale e lenta evoluzione di un gusto in etichette più o meno convenzionali spesso ci fa correre il rischio di perderci qualche pezzo per strada.

Passino le definizioni generali, ma non passi, per favore, che senza i Normanni non avremmo saputo costruire. Perché in questo, scusate, siamo maestri. Lo siamo stati fin da quando abbiamo costruito splendidi edifici nei primi secoli della cristianità (tra V-VI secolo). E non passi nemmeno che prima del loro arrivo in Puglia – dunque quando ancora eravamo una provincia dell’Impero bizantino – non avremmo potuto scolpire o decorare secondo un gusto che non fosse esclusivamente “orientale”. Acceptus, maestro scultore dell’XI secolo ne è un esempio. Il pulpito da lui scolpito nella cattedrale di Canosa una prova. Così come a Siponto e Montesantangelo.

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Volgeva l’anno Mille e invece di morire siamo stati felicemente travolti da una netta ripresa economica e, sullo sfondo di una discreta stabilita politica (senza dubbio determinata dalla presenza normanna), abbiamo costruito le cattedrali. Il nostro passato non lo dimentichiamo, e là dove, tra VI e VIII secolo, eventi nefasti per la contesa del territorio hanno determinato la caduta delle chiese locali, lì abbiamo avviato le nuove costruzioni. E tale è la ragione per la quale nei succorpi delle cattedrali custodiamo frammenti di splendidi mosaici pavimentali di questi edifici prenormanni, come tracce tangibili di un passato glorioso.

Acceptus, leggio dell’ambone, Museo devozionale di Montesantangelo

Maestose signore di candida pietra calcarea si ergono in un tessuto edilizio ormai trasformato, e restano per l’eternità a rivendicare antichi diritti e a ricordare la dignità e l’indipendenza delle nostre città e delle diocesi.

Il prototipo

Il prototipo delle cattedrali di Terra di Bari è una basilica. San Nicola a Bari.

Più appropriato sarebbe definirla “grande reliquiario” costruito con l’intenzione di accogliere i resti di San Nicola di Mira. Ecco, possiamo ben dire che la scelta del Santo è stata veramente intelligente. Perché la devozione a lui rivolta ha avuto forza tale da modificare una consolidata geografia del sacro che già considerava la Puglia come il punto terminale di un percorso di dimensioni europee. San Nicola è stato talmente potente da muovere verso Bari il flusso di pellegrini che da Montesantangelo si dirigeva verso la Terrasanta (e poi ci stupiamo che riesca anche a trovare marito alle donne che a lui si rivolgono?). Evidenti furono fin da subito le ripercussioni culturali ed economiche della translatio su tale lembo di Terra, e altrettanto palesi le risonanze sul nostro carattere levantino.

“Una stupefacente capacità di assorbire e armonizzare apporti e stimoli diversi: forme derivate dall’antico, bizantine, sasanidi, islamiche, siriane, anglo-normanne, germaniche e lombarde”, scrive Maria Stella Calò Mariani a proposito del Romanico. Culturalmente eterogenea è forse la definizione più appropriata per descrivere la basilica barese. Un miscuglio di forme, modelli, soluzioni statiche e architettoniche, motivi e tecniche decorative, in cui risulta veramente complesso riconoscerne le matrici. A dire il vero poco importa. È però fondamentale riconoscere che tale eterogeneità confluisce e coincide con l’identità della cultura pugliese e mediterranea nei secoli del Medioevo. Già. Perché il Mediterraneo è un mare che separa ma soprattutto unisce; è un’area, un territorio, uno spazio, in cui non conta più chi prende e chi da, ma ciò che si condivide. E noi questo lo sappiamo. Tramiti culturali sono stati, e ancora sono, gli uomini che viaggiano per fede, per commercio o per illusione di una vita migliore, e nel viaggio – a volte senza ritorno – trasferiscono sentimenti, idee e oggetti. Ma questa è un’altra storia.

La basilica di San Nicola è stata un esperimento raffinatamente imperfetto: mai in Puglia avevamo edificato un edificio di tali dimensioni. Pregno di un senso di sacralità totalmente autonomo dalla fede. E sul modello di San Nicola abbiamo edificato anche le altre: staticamente più stabili, formalmente più precise. Barletta, Trani, Ruvo, Bisceglie, Bitonto sono solo degli esempi. Sarebbe interessante fermarsi ad osservare per ciascuna di esse somiglianze e divergenze rispetto al modello. Sarebbe interessante anche semplicemente fermarsi a guardare.

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Basilica di San Nicola, Bari

L’epilogo

Severe, austere e monocrome. Così si presentano le cattedrali della Terra di Bari.

E così ci figuriamo un luogo di culto medievale, al di là del (nostro personale) modo di intendere le modalità d’uso dello spazio sacro. Ma immaginiamo male. Perché ciò che vediamo non è un edificio medievale. È il prodotto contemporaneo di una stratificazione secolare iniziata nel medioevo e mai conclusa.

E dunque non è originale? Certo che lo è, originale rispetto a se stesso. Originale rispetto alle stagioni cultuali e culturali che l’hanno trasformato per adeguarlo prima alle direttive in materia di decoro ecclesiastico stabilite dal Concilio di Trento, poi alle esigenze estetiche barocche, fino alla pianificata eliminazione di tutte le stratificazioni secolari con l’intento di riportare la fabbrica a un ‘originario splendore’. Nel generale fenomeno di riscoperta del Medioevo, diffuso in tutta Europa tra XIX e XX secolo, è stato molto breve il passo dal restauro alla ricostruzione. Ed è proprio sull’arbitraria ricerca dell’originale – condotta nelle cattedrali della Terra di Bari da Ettore Bernich – che si erge quell’idea di severità, austerità e monocromia che associamo al Medioevo.13414067_10205899346513842_213986342_n

Cattedrale di Bari, ricostruzione dell’esaforato.

I puristi degli stili condannano. Ma ad essi forse sfugge il concetto di vitalità di un monumento, preferendo a questa una antistorica e feticista staticità, che dimentica che gli edifici sacri, rupestri e sub divo, cappelle di campagna o cattedrali, nascono per il culto e per le esigenze di una comunità che, nel tempo, nell’edificio ritrova un riferimento anche civile.

E invece una tendenza sempre più diffusa preferisce utilizzare etichette storiografiche (le cattedrali romaniche, i castelli federiciani) e incasellare in stretti stereotipi complessi fenomeni culturali da dare in pasto a un turismo di massa. I pacchetti dalle definizioni d’acchiappo banalizzano l’identità della nostra Terra. E noi non siamo gente banale. Non lo siamo mai stati quando le faccende complesse le abbiamo volute trattare come faccende complesse. Ma questo richiede impegno, non c’è niente da fare.


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