Accade in Puglia. Un teatro che raccoglie stracci della vita per indurre a riflettere
Italia, di spalle al pubblico, succintamente fasciata di nero, con i piedi solidamente piantati in due stivali dalle punte acuminate. Davanti a lei le croci cimiteriali delle sue figlie, finite malamente sulla strada della prostituzione. Parla concitatamente con le mute ceneri, si contorce con gesti ripetutamente ossessivi e, lasciando cadere fiori, candidamente confessa di non essersi pentita delle sue cadute e ricadute del pensiero, dei sentimenti, del corpo, dell’azione e dello stile.
Il tormento interiore ed i sensi di colpa della propria anima inquieta e volubile, però, l’avevano spinta a scagliare dal balcone la piccola, nata da un rapporto incestuoso con il figlio Salvatore, da lei concupito. Si salva la bambina, ma rimane claudicante. Dalla zoppia fisica finirà in altre insidie, procurate da se stessa e/o da altri.
Era fuggita, poi, Italia, personalità contraddittoria, sperando di trovare refrigerio, ma precipiterà ancora una volta, rimanendo imprigionata, in ambienti squallidi dove convivono, in un rapporto servo-padrone, prostitute e prostituenti. Rincaserà dopo anni con un gran pancione, ospitante un nascituro, frutto di una relazione sessuale mercenaria. Non sopravvivrà la vita in gestazione.
Della famiglia fa parte anche il marito, un falso invalido. Una figura ambigua, ipocrita, un parassita della società, incapace di a sua volta di controllare la condizione di reale bisogno dei propri assistiti. La sua presenza, inconsistente sulla scena, viene solo richiamata per completare il quadro familiare. Un bicchiere completamente vuoto, un degrado generalizzato. Non si interessa di nulla, è solamente irretito dal bere e dal gioco d’azzardo. Voluto e causato. Lo stato italiano ha tutto da farsi perdonare?
Filippo, bello per la madre, che lo protegge con una forma di amore malato. Gay, vittima e carnefice, sodomizza miseramente un poveraccio. Quando comincia a verificare che Salvatore è diverso, che sta imboccando la strada della riflessione, della resipiscenza, del ravvedimento, lo fa fuori a colpi di rivoltella. Nessuno si deve salvare per lui!
Subito dopo, però, dei sintomi di ravvedimento ed un senso di crisi, si fanno strada, dopo l’efferato assassinio del fratello. Il finale? È lasciato di proposito aperto in modo che gli spettatori si cimentino creativamente e nel pensare e nel sentire e nell’agire e nell’amare.
L’onore di rappresentare l’amata fatica teatrale Se cadere imprigionare amo, dal titolo appositamente sgrammaticato, del “Teatro delle Bambole” spetta al “Duse”, un piccolo avamposto di Bari, con un centinaio di posti a sedere. Opera rilevante artisticamente, rappresentazione gourmet, per palati amanti della ricerca del bello, del buono, del giusto, del santo. Che detestano il conveniente.
Chi accoglie la sfida di mettersi in discussione ne esce, conseguentemente, sconquassato in tutte le fibre sentimentali, emotive, comportamentali, con… l’anima a pezzi che vuole, fortissimamente, evolversi, persino, rifondarsi, con… il pensiero che si impenna per lo spasimo della riflessione.
Si tiene debitamente alla larga, dalla pregevole rappresentazione, il pubblico subdolamente ed irresistibilmente ammaliato dalle star del palcoscenico, …irretito dalla martellante pubblicità, … indifferente al valore artistico di un’opera, amante di un intrattenimento che non turbi più di tanto la sua anima, rattrappita e sonnolenta, la sua condotta, pavida ed ambigua, né scuota la sua riflessione atrofizzata.
Coprendo al rallentatore l’intera platea con lo sguardo, il pensiero corre alle prime rappresentazioni della “Cantatrice calva” di Eugene Ionesco a Parigi. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, per i critici d’arte e per il pubblico.
Silvia Cuccoviello, Italia in arte, ed i figli Domenico Piscopo e Federico Gobbi, sulla scena rispettivamente Filippo e Salvatore, sono i protagonisti dell’evento teatrale. Dalle loro performance trasuda severo impegno, accuratezza espressiva, passione del proprio lavoro, piena padronanza della scena, valori che non vengono adeguatamente ricompensati sul piano finanziario dalla società del fast and bad food.
Nell’antica Grecia la polis coinvolgeva tutti cittadini nelle pubbliche rappresentazioni, perché si acculturassero, oggi, invece, si avverte l’impressione che lo Stato intenda anestetizzare con becero intrattenimento il popolo, pericoloso se divenisse lucido e consapevole contro il sistema liberistico. Egregio, cioè fuori dal gregge.
La conduzione del regista, Andrea Cramarossa, anima della fase creativa e ri-creativa, traspare nel rigore professionale degli attori, nella sobrietà delle scene, nella significanza dei costumi, nel coordinamento dei tempi e dei ritmi, nell’efficacia espressiva riposta nella parola, nei gesti e nella pantomima.
La parola, concitata e spasmodica, intensamente performativa, portando alla ribalta un dramma umano realmente accaduto in provincia, in una delle tante periferie abbandonate a se stesse, si carica ripetutamente di incalzante tensione, come se si trattasse di una interminabile batteria di fuochi d’artificio ad alto potenziale coloristico ed acustico. La scelta del dialetto in alcuni scambi di battute, più vicino come lingua materna alla parte più riposta ed intima dell’anima, contribuisce ulteriormente a creare drammaticità.
Una potente gestualità anima visceralmente i corpi dei personaggi, e neppure un attimo di tregua interviene a placare l’incontenibile fibrillazione, riversata e… fatta propria dagli spettatori. Calato il sipario, il sudore scorre a rivoli, ed il colore paonazzo campeggia sui visi e sui corpi ancora contratti. Neanche i generosi applausi del pubblico, molto coinvolto emotivamente e razionalmente, riescono a sciogliere del tutto il climax di tensione.
Nessuno si salva. O quasi. Nella realtà e di conseguenza nella sua rappresentazione. Assieme alla caduta di Italia cadono anche tutti i soggetti che sono stati incapaci di tessere con lei un rapporto di amore. La società che guarda, che giudica, condannando o perdonando, secondo i propri stereotipi valutativi, ne esce malconcia.
“Una vicenda complessa e contraddittoria che coinvolge persone e società. La stringa disarticolata del cadere, imprigionare, amore non è esclusiva degli ambienti degradati e malfamati”, sembra voler sommessamente suggerire, la regia, quando spunta la bandiera tricolore che fascia interamente il personaggio Italia, “è sempre all’orizzonte in ogni realtà sociale, economica, religiosa, politica, culturale. Nella società, collettivamente intesa e… in ciascuno di noi.” Perciò, la vera azione del teatro inizia proprio quando si esce dal teatro.
Coinvolgente anche l’articolo… oltre l’opera teatrale dispiegata.