Una nuova edizione de L’epistemologia (a cura di Mario Castellana, Lecce, Milella, 2017)
In un momento come quello attuale, in cui da più parti è in atto la presa di coscienza del valore ad ampio spettro della scienza nelle diverse posture, da quella propriamente cognitiva a quella politico-sociale, è anche da registrare il crescente interesse verso quelle figure e movimenti che nel corso del secondo Novecento, in Italia, l’hanno messo al centro delle loro strategie, andando contro l’egemonia neoidealistica crociana, che aveva escluso la scienza dall’ambito del pensiero, ritenuta quasi indegna di far parte del nostro bagaglio culturale di base. Nello stesso tempo, recenti studi e iniziative stanno riservando una particolare attenzione al ruolo di alcuni esponenti del nostro Meridione, come allo scrittore-ingegnere lucano Leonardo Sinisgalli (1908-1981), uno dei collaboratori di Adriano Olivetti (1901-1960) e fondatore nel 1953 della rivista ‘Civiltà delle macchine’, ora della Fondazione Leonardo, grazie alla pubblicazione da parte della Mondadori delle poesie e di altre sue opere come Furor Mathématicus. Si segnalano anche in tale direzione il volume curato da Pietro Greco sugli scienziati meridionali (Bari, Dedalo 2020) e la ristampa de La Logica per i giovanettidell’illuminista napoletano Antonio Genovesi (1713-1769), (Verona, Gabrielli 2020 e cfr. Odysseo, 11 febbraio 2021), che hanno il merito di far vedere l’apporto non secondario della cultura meridionale a questo dibattito strategico, per le sorti politico-sociali dell’Italia.
In tale contesto s’inserisce la recente ristampa de L’epistemologia (a cura di Mario Castellana, Lecce, Milella, 2017), un lavoro del 1974 di Bruno Widmar (1913-1980). Autentica figura cosmopolita, proveniente dal Nord-Est, precisamente era nato a Trieste, e dalla scuola torinese di Nicola Abbagnano (1901-1990), partigiano di Giustizia e Libertà, e approdata nel 1969 presso l’Università di Lecce, ora del Salento. Widmar, dopo aver insegnato Filosofia nei licei, a Torino e a Roma, ha collaborato con Norberto Bobbio (1909-2004) in diverse iniziative, come la rivista ‘Conoscere’, tese al rinnovamento della scuola. Studioso soprattutto di Antonio Labriola (1843-1904), (Antonio Labriola, Napoli, Glaux, 1964, di cui a cura di chi scrive si sta preparando la riedizione presso Milella di Lecce), di Cartesio, di Spinoza, visti sempre nel duplice versante scientifico e filosofico, e fondatore nel 1959 della rivista ‘Il Protagora’, il nostro è stato una delle poche figure di sinistra, come diranno quasi all’unisono Ludovico Geymonat (1908-1991) e Bobbio ricordandolo dopo la sua morte, a confrontarsi criticamente con il mondo della scienza e a rompere nei fatti con la tradizione crociana. Giudizio del resto confermato da uno studioso francese di Antonio Gramsci (1891-1937) come Robert Paris (1937-2020), che si sentì debitore nei suoi confronti, per avergli fatto conoscere il pensiero di Labriola, ancora oggi in Francia confuso con quello, di tutt’altro orientamento, di Arturo Labriola (1873-1959). Sin dai primi anni ’50, infatti, e soprattutto negli anni ’60-‘70, Widmar rivolse sempre di più i suoi interessi verso figure e problematiche relative al rapporto tra scienza e filosofia, con l’obiettivo primario di superare la separazione tra le due culture, quella umanistica e quella scientifica, con studi su Bertrand Russell (1872-1970), Darwin (1809-1882), su Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955), sulla logica matematica, sulle geometrie non euclidee, sulla neurofisiologia e sulla memoria, poi diventati, com’è noto, sempre più strategici nelle teorie dell’informazione.
Tale profondo impegno di Widmar si concretizzò a livello accademico con l’insegnamento, sul finire degli anni ’60, di ‘Filosofia della scienza’ presso l’allora giovane Università di Lecce, la prima Università del Sud a offrire agli studenti di Filosofia e di Scienze corsi di tale disciplina. Bisogna tenere presente che, solo pochi anni prima, Ludovico Geymonat aveva cominciato a insegnarla presso l’Università di Milano, con non poche difficoltà per farla entrare nei diversi corsi di laurea, insieme con la ‘Logica’ e la ‘Storia della Scienza e della Tecnica’. Negli altri paesi europei, tali saperi già dai primi anni del Novecento avevano portato, invece, alla nascita e allo sviluppo di solide tradizioni di ricerca, come il neopositivismo logico e l’epistemologia francese; in Francia ad esempio esisteva anche l’insegnamento di ‘Épistémologie et Histoire des sciences’. Così Widmar, oltre a continuare i suoi studi su Labriola, portò a termine il suo percorso e tentativo di unificare le due culture, pubblicando una Introduzione alla filosofia della scienza nel 1970 (Bari, Levante,19962) e nel 1971 Le geometrie non euclidee in rapporto alla filosofia, L’epistemologia e La memoria. Saggio storico-epistemologico (1974), dando un personale e significativo contributo all’affermarsi in Italia della filosofia della scienza. Anche altri studiosi operarono in questo senso e sono da ricordare, solo per citarne alcuni, oltre a Geymonat, Vittorio Somenzi (1918-2003), Alberto Pasquinelli (1929-2013) e Giulio Preti (1911-1972). Widmar fece innamorare di questa disciplina un gruppo di studenti, che erano stati attratti dal suo carisma, aiutandoli a prendere atto dello stretto rapporto tra pensiero filosofico e pensiero scientifico e li formò in una prospettiva d’insieme, nella quale filosofia della scienza e storia della scienza, allora separati in casa, pur avendo lo stesso oggetto d’indagine, erano ritenute strettamente connesse. In questo modo, egli invitò i suoi allievi a leggere direttamente le opere degli scienziati, a ricavarne l’implicita dimensione filosofica e a vedere la natura essenzialmente storica della conoscenza scientifica, come viene delineato in L’epistemologia, testo che ancora oggi può essere ritenuto basilare per chi voglia avventurarsi in tale ambito di studi.
Questo non comune approccio, allora presente nel solo ambiente francofono e che grazie a Thomas Kuhn (1922-1996) prese definitivamente piede nel panorama della filosofia della scienza internazionale, aprendo quel vasto capitolo dell’epistemologia storica ancora al centro di ulteriori sviluppi, ha costituito l’humus da cui sono partiti i lavori dei giovani collaboratori di Widmar. I loro studi, poi pubblicati quasi tutti come fascicoli monotematici de ‘Il Protagora’, presero in esame temi e problemi di filosofia della logica, della matematica, della fisica e della biologia, con una particolare attenzione verso le figure di alcuni ‘scienziati-filosofi’, come Claude Bernard (1813-1878) e Federigo Enriques (1871-1946) e di altri protagonisti del pensiero epistemologico del ‘900, come Louis Couturat (1868-1914), Karl Popper (1902-1994), Gaston Bachelard (1884-1962), Georges Canguilhem (1904-1995), Ludovico Geymonat e Nicola Abbagnano. Non sarà dunque un caso se lo stesso Geymonat dirà nel 1986, in occasione della presentazione di un successivo volume di uno di questi collaboratori, che è venuta a costituirsi una ‘Scuola meridionale di epistemologia’, poi allargatasi ad altri, con studi su Louis Hjelmslev (1899-1965), e proseguita grazie a Mario Castellana (1949) e ai suoi giovani allievi, nei primi anni del nuovo secolo, con lavori su Hermann Weyl (1885-1955) e Kurt Gödel (1906-1978). Una caratteristica di fondo di tale Scuola, sempre come disse Geymonat che aveva recensito su ‘Scientia’ nel 1975 la prima monografia di Mario Castellana su Gaston Bachelard, è quella di avere aperto la strada a studi su figure come Enriques e Bachelard, che sino a quel momento non avevano ricevuto adeguata attenzione critica nell’ambito della filosofia della scienza. Successivamente Geymonat ha dichiarato anche che, grazie a tali ricerche, poi del resto riprese da altri studiosi italiani e stranieri, aveva cambiato idea soprattutto su Enriques, ritenendolo non solo un grande matematico, ma un epistemologo tout court, alla pari di Moritz Schlick (1882-1936), di Carnap (1891-1970) e di Popper.
In L’epistemologia è evidente l’impianto di fondo storico-epistemologico, che ha guidato il percorso filosofico di Bruno Widmar e poi i successivi studi dei vari esponenti della ‘Scuola meridionale di epistemologia’, con la strutturale insistenza sul concetto di una ragione scientifica storica e aperta all’interno di un neo-razionalismo militante, che fa della dimensione veritativa della scienza un fattore determinante per non cadere in posizioni antiscientifiche, da una parte, e in posizioni scientiste o vetero-positiviste, dall’altra. Si è distinto soprattutto in tale direzione Mario Castellana, prendendo successivamente in esame i dibattiti francofoni sulla struttura della fisica e della matematica e sui rapporti tra epistemologia e storia delle scienze in autori come Albert Lautman (1908-1944), Ferdinand Gonseth (1890-1975), Hélène Metzger (1889-1944), Simone Weil (1909-1943), Jean Desanti (1914-2002), Gilles Châtelet (1944-1999), Maximilien Winter (1871-1935), Annibale Pastore (1868-1956) e altri più noti, al grande pubblico e a molti ricercatori, come Michel Serres (1930-2019) e Jean Piaget (1896-1980), che hanno dato significativi contributi a quello che Castellana chiama ‘patrimonio epistemologico europeo’. Per verificarne il giusto peso e lo spessore dei loro contributi, tali figure sono state inserite all’interno di un quadro storico più generale, come ‘la storia della filosofia della scienza’ o ‘storia dell’epistemologia’, un nuovo sapere che, solo a partire dai primi anni di questo secolo, sta prendendo piede in diverse direzioni a livello internazionale, con l’obiettivo di chiarire lo specifico apporto dato dalle singole tradizioni di ricerca, che a volte sono misconosciute e poco valorizzate.
Il lungo studio, portato avanti con altri colleghi italiani e stranieri, del pensiero di Enriques e di Bachelard, che già Widmar aveva individuato come esponenti non minori della filosofia della scienza, ha generato come esito teorico nell’itinerario intellettuale di Castellana l’idea centrale della scienza come pensiero, grazie alla sua duplice dimensione insieme storica e conoscitiva. I contributi enriquesiani e bachelardiani, rivolti a chiarire il senso epistemico di ‘pensiero scientifico’ e pensée des sciences, sono diventati così le strutture portanti di un discorso improntato all’unità della cultura e al concetto di razionalità allargata, oggi da più parti invocata, dove la stessa idea di storicità può essere una via di demarcazione tra scienza e pseudoscienza, tra un pensiero che tende al vero e uno che l’occulta, tra una società democratica e una società chiusa. Non è dunque un caso se Castellana, un insigne esponente della ‘Scuola meridionale di epistemologia’, nutritosi anche in particolar modo del pensiero di Simone Weil, come del pensiero filosofico-scientifico di Pierre Teilhard de Chardin, oggetto di continuo interesse da parte dello stesso Widmar, in questi ultimi anni si stia confrontando con le idee di Edgar Morin (1921) e di Mauro Ceruti (1953) e con le problematiche tipiche del pensiero complesso, di cui lo stesso Bachelard è stato un antesignano. L’idea di scienza come pensiero, presente in altre tradizioni di ricerca anche se non molto esplicitata, è stata però ricavata sia dalla sua intrinseca storicità sia dal fatto che, sulla scia di Simone Weil, essa per sua natura è un discorso che non può ‘mentire sul reale’, vera e propria risorsa cognitiva ritenuta cruciale per ogni percorso epistemologico, come del resto i maestri greci avevano già avevano evidenziato. Inoltre, tale idea, potenziata poi dai decisivi incontri col pensiero complesso che fa della molteplicità dei livelli del reale un punto di non ritorno per la ragione, costituisce uno dei nuclei concettuali di fondo della ‘Scuola meridionale di epistemologia’, con il suo connaturato carattere militante, a favore di un pensiero aperto alle varie dimensioni dell’umano.