Accogliamo il grido disperato dei nostri concittadini italiani…

Ricorderemo anche il 2021 per la diatriba sociale, economica, culturale, sanitaria, costituzionale tra due poli.

Non si tratta di sovranisti ed europeisti. Non si tratta di razzisti e antirazzisti o di altre contrapposizioni a cui questo tempo si sta riduttivamente riabituando.

Non è nemmeno una diatriba tra destra e sinistra, per carità!

Si tratta di una contrapposizione dovuta al Covid, che rispecchia talvolta ideologie (solo talvolta), talaltra posizioni di bandiera a seconda delle forze partitiche presenti nel governo Conte bis – prima – e nel governo Draghi, ora. Si tratta però, è giusto sottolinearlo, di una contrapposizione che parte soprattutto da tragiche esigenze, epidemiologiche ed economiche, esistenziali. È facile capire quali siano le due partigianerie naturali di questo periodo: la diatriba forte è tra aperturisti e chiusuristi.

Da un lato le prudenze stanno caratterizzando le azioni del ministero della salute, dall’altro, ai piedi dei palazzi, il disagio psico-economico delle micro, piccole e medie partite IVA arriva al dramma sociale. Molte persone che lavorano del proprio aprir la serranda, del proprio recitar sui palchi, del proprio vendere nelle fiere, stanno sudando la propria antropologica dipendenza dal lavoro, in tutti i sensi.

Nella repubblicanità costituzionale fondata sul principio lavoristico di cui all’art. 1 della Carta del 1948, infatti, quel lavoro non è fondamento astratto bensì concreto, fatto di carne ed ossa, sudore e sacrifici. Il lavoro declina il contenuto formativo del tempo nella vita di ogni individuo sociale. Ogni persona, ordinariamente, per giungere ad un lavoro ha percorso se stessa, nel mondo, passo dopo passo, superando limiti e ostacoli.

Il lavorismo di cui all’art. 1 della Costituzione italiana non è assolutamente riducibile all’operaismo, e nemmeno quando la Carta è entrata in vigore era possibile una simile riduzione inappropriata. Il lavorismo personologico e liberale parla a molti orizzonti, trasversalmente ed intersezionalmente. La persona non è riducibile alla dimensione del lavoro, certamente, ma il lavoro non è un mero accessorio dell’essere-persona in età adulta, e in una società organizzata, in Occidente.

Il chiusurismo sta mettendo a dura prova le psicologie, demistificando giustamente ogni modello troppo libresco di persona, per riconcretizzare vividamente l’essere umano nella sua vocazione sociale, attraverso le dinamiche del fare, ed in particolare del fare lavoristico.

Ogni governo dovrà affrontare questa questione, unitamente agli effetti ulteriori che le desocializzazioni dal vivo tra persone arrecano alla produttività economica e riproduttiva dell’insieme. Questa situazione infatti è un qualcosa di più forte e di più grave da sopportare per le persone, rispetto alla “ordinaria” disoccupazione, che in realtà non è mai ordinaria. Alla mancanza di sostanze, nelle esistenze meno fortunate, si sommano le cinture necessitate del non poter andare fuori la sera in compagnia prima di andare a dormire, per esempio. E ciò pesa ai giovani che scoprono se stessi attraverso le dialettiche umane con gli altri, dal vivo.

E allora noi che scriviamo non possiamo omettere di ascoltare il grido di queste nuove sacche generalizzate di disperati nei tempi del Covid. Ascoltare e legittimare socio-psicologicamente e antropologicamente le esigenze disperate delle nuovissime povertà a tuttotondo, accogliere le istanze di chi ha bisogno di alzare le serrande o di vendere e far consumare per portare il pane a casa, non vuol dire far parte di tifoserie, non vuol dire timbrarsi storicamente con il marchio dell’aperturismo contro le esigenze delle prudenze sanitarie, e non a caso utilizzo il plurale parlando di “prudenze”, dato che diversi pareri autorevoli si confrontano quotidianamente, e faticosamente, al riguardo, tra gli esperti di epidemiologia, virologia, immunologia, statistica.

Accogliamo il grido disperato dei nostri concittadini italiani, noi che scriviamo e pubblichiamo. Le speranze economico-esistenziali che le partite IVA – e non solo – nutrivano sui primi vagiti del governo attuale, da più parti, stanno iniziando a lasciare il posto alle disillusioni circa le misure d’immediato periodo.

Accogliamo il grido delle nuove disperazioni italiane ai tempi del Covid, unitamente al grido delle disperazioni più datate. Accogliamo tutto ciò senza retorica, noi che scriviamo per far militare le idee sulle vie della vita.


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Luigi Trisolino, nato l’11 ottobre 1989 in Puglia, è giurista e giornalista, saggista e poeta, vive a Roma dove lavora a tempo indeterminato come specialista legale della Presidenza del Consiglio dei ministri, all’interno del Dipartimento per le riforme istituzionali. È avvocato, dottore di ricerca in “Discipline giuridiche storico-filosofiche, sovranazionali, internazionali e comparate”, più volte cultore di materie giuridiche e politologiche, è scrittore e ha pubblicato articoli, saggi, monografie, romanzistica, poesie. Ha lavorato presso l’ufficio Affari generali, organizzazione e metodo dell’Avvocatura Generale dello Stato, presso la direzione amministrativa del Comune di Firenze, presso università, licei, studi legali, testate giornalistiche e case editrici. Appassionato di politica, difende le libertà e i diritti fondamentali delle persone, nonché il rispetto dei doveri inderogabili, con un attivismo indipendente e diplomatico, ponendo sempre al centro di ogni battaglia o dossier la cura per gli aspetti socioculturali e produttivi dell’esistere.

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