«L’educazione non è il riempire un secchio, ma l’accendere un fuoco»

(William Butler Yeats)

Caro lettore, adorata lettrice,

ci sono viaggi che non si fanno con la valigia, ma con l’anima. O, a volte, con entrambe. E, in pochi giorni, la mia anima ha attraversato due mondi che sembravano lontani e invece si sono rivelati fraterni.

Ho incontrato studenti giovani e meno giovani che portano nel cuore il sole dell’Africa, il vento dell’Asia, la saudade dell’America Latina. E accanto ai loro volti multicolore, ho ammirato Sardi ultraottantenni con occhi pieni di rughe e di voglia di imparare. Come se la vita, per loro, fosse ancora tutta da scrivere. C’è persino chi mi ha detto: «Ora che sono tornata a scuola, mi sento una ragazzina. Non potevo morire senza aver studiato i nomi, gli articoli, gli aggettivi…».

Erano studenti e docenti dei CPIA di Cagliari, Oristano e Serramanna. Nella sede del Liceo “Siotto”, a Cagliari, sono venuti in trecento: come ne “La spigolatrice di Sapri”. Solo che i miei convenuti erano vivissimi e hanno caricato di energia me e i colleghi che hanno avuto il merito di crederci e di organizzare l’incontro. A loro, il mio più sincero ringraziamento: sono Giuseppe Ennas, Carmensita Feltrin e Andrea Schirru.

Poi, senza nemmeno il tempo di chiudere bene lo zaino, mi sono ritrovato a Dublino, in un training course finanziato dal programma Erasmus+. E lì, tra un tè caldo e una pioggia gentile, ho conosciuto docenti di tutta Europa: Italia, Irlanda, Francia, Spagna, Ungheria, Finlandia, Svezia, Norvegia, Olanda, Germania, Bulgaria, Polonia. Lingue diverse, accenti diversi, ma un unico desiderio: imparare insieme.

E sai cosa ho visto, in entrambi i luoghi? Un miracolo. Il miracolo della cultura che unisce. Della conoscenza che non divide, ma abbraccia. Della scuola che non è solo un edificio, ma un ponte. Un ponte tra generazioni, tra continenti, tra sogni.

Ancora una volta, ho potuto toccare con mano la visione di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Ho visto un’unione dei popoli che non si costruisce nei palazzi del potere, ma nelle aule scolastiche. Nei sorrisi condivisi. Nelle mani che si alzano per fare una domanda. Nelle pause caffè dove si parla di didattica e di vita.

E tutto questo – lasciamelo dire con un po’ di commozione – è possibile grazie a una magia che si chiama pubblica istruzione.

Certo, ho ammirato la Long Room e il Book of Kells del Trinity College e ho conosciuto — visitando l’EPIC — l’epopea delle migrazioni irlandesi. Sotto lo Spire mi sono commosso molto più che al Temple Bar, perché lì ho sentito pulsare l’orgoglio di un popolo che in nessun caso ha accettato di restare sottomesso, nonostante la sproporzione delle forze in campo.

Ma mai avrei pensato di imparare a giocare a hurling. Mai avrei immaginato di muovere i primi passi nelle danze irlandesi: la step dance e la ceili dance. Eppure, è successo. Perché, quando la mente si apre, anche i piedi imparano a ballare.

E allora, sai che ti dico? Se oggi ti senti spento, se ti sembra che il mondo sia troppo grande e tu troppo piccolo, se non vedi altro che tempi bui, non dimenticare: basta una scintilla. Una lezione. Un incontro. Una parola cortese. E il mondo, nel suo piccolo, dal basso, ma con un moto irrefrenabile, continua a cambiare.

Perciò, non gettare la spugna. Piuttosto ascolta Samuel Beckett: «Ho provato. Ho fallito. Non importa. Riproverò. Fallirò ancora. Fallirò meglio». O anche: «Non posso continuare. Continuerò».

Perché  – e te lo ripeto con affettuosa ostinazione  – non serve essere una torcia per fare luce: basta essere un fiammifero, purché acceso.

Ti confesso che, nel mio piccolo, in questi giorni, in ciascuno di questi incontri, in ogni abbraccio e in ogni stretta di mano, ho ritrovato la bellezza di bruciare.

Di meraviglia. Di gratitudine. Di speranza.

Oscar Wilde: «L’educazione è una cosa ammirevole, ma è bene ricordare di tanto in tanto che niente che è degno di conoscenza può essere insegnato».

James Joyce: «Domani sarò ciò che oggi ho scelto di essere».

Ancora William Butler Yeats: «Non ci sono estranei qui, solo amici che non hai ancora incontrato».


FontePhotocredits: Paolo Farina
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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...

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