Bergoglio e i giovani…

Un incontenibile feeling al Circo Massimo

Il Papa, di fronte agli oltre 70.000 giovani riuniti al Circo Massimo, sembrava un fiume in piena: tra esortazioni, incoraggiamenti e inviti a guardare criticamente lontano. In realtà è stato uno snocciolare anticipatamente quei temi legati alla questione giovanile che saranno al centro del prossimo Sinodo dei Vescovi programmato dal 2 al 28 ottobre. Tale Sinodo ha come tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.

Occorre subito liberare il campo dai malintesi di stampo clericale in merito al “discernimento vocazionale”. La vocazione è da intendersi in senso ampio, come chiamata ad uscire da se stessi per realizzarsi secondo una pluralità di percorsi. La giovinezza, infatti, si rivela come un’età di esilii e di esodi. “Discernimento” poi è un processo che cerca di fare chiarezza su se stessi e dentro se stessi: un lavorio che vede protagonista il giovane e coloro che compongono il suo mondo attraverso il coinvolgimento di tanti legami.

I giovani, pur con le loro mille contraddizioni, al Circo Massimo sono stati pubblicamente riconosciuti come gli interpreti più sensibili di quelle sfide che segnano le culture del nostro tempo. In realtà il mondo giovanile è sempre stato, in ogni tempo, una generazione di cercatori; anzi con papa Bergoglio diventano protagonisti attivi nella Chiesa dove assistiamo ad una sorta di ribaltamento nel rapporto tra le generazioni, in cui gli adulti, spesso assenti o alle prese con numerosi problemi irrisolti di precarietà lavorativa e di coppia, sono chiamati a prendere i giovani come riferimento per il proprio stile di vita.

Occorrono quindi dei cambiamenti radicali nelle comunità cristiane e degli stessi preti: intendo dire che non si cercherà il giovane per poi utilizzarlo nell’animazione dell’oratorio, nel tener in piedi l’attività caritativa o per la gratificazione personale derivante dal numero “che frequentano”; ma come persone che hanno qualcosa di originale da dire e da dare. Qui c’è il rischio che la missione venga vissuta come proselitismo, che vuole “catturare” i giovani per appropriarsene, invece che scoperta di una comunicazione orizzontale da condividere: la fede che ritorna ad essere relazionalità in cui al trionfo della morale sulla fede, con una Bibbia che diventa manuale comportamentale…subentri l’arte del “raccontare” le tante storie che aprono il cuore.

Qualcosa di importante dunque non funziona. Ho l’impressione che una certa proposta di fede sia forte nell’indicare cosa si deve fare e debole nel far buon uso degli sbagli. Si traccia l’identikit di mondi ideali, ma insegniamo poco a vivere bene e riconciliati in questo mondo reale. Occorre ancora ritrovare quella laicità della fede che caratterizza i personaggi biblici. La fede non può essere accessibile ai giovani in un mondo religioso pensato dal clero, in cui i laici vengono formati come piccoli preti!

La dimensione affettiva svolge un ruolo sempre più incisivo nella vita sociale e nella ricerca religiosa dei giovani. Al criterio della verità (“Faccio questo perché è vero”) si sostituisce spesso quello dell’emotività (“Faccio questo perché mi fa stare bene”). L’impianto teologico ed etico di una religione passa in secondo piano rispetto alla risonanza emotiva che suscita nel soggetto. Ma questo risponde alla verità centrale del cristianesimo, che non si identifica con un sistema di verità, di valori o di riti, ma è essenzialmente una persona e una storia: Cristo. La dinamica affettivo-relazionale è quindi inscindibile dall’esperienza cristiana, e ne costituisce una componente primaria.

Conclusione. I giovani stanno vivendo un processo inedito di reinterpretazione della religiosità. Lo fanno sulla spinta del bisogno, nel faticoso e affascinante percorso di personalizzazione della fede che, quando avviene in solitudine, non è esente da rischi.

La mancanza di una leadership affidabile, a diversi livelli e in ambito tanto civile quanto ecclesiale, è la denuncia dei giovani, secondo i quali una fragilità particolarmente evidente è generata dal diffondersi della corruzione e del carrierismo, piaga che tutt’oggi intacca dalle fondamenta molte realtà, generando quella tutela spudorata di un verticismo dalla cui sommità l’io può “pontificare” con la sua arrogante presunzione di sapere tutto, con la sua pessima educazione condita di invidia, con la sua assente relazionalità orizzontale: una malattia  che, se colpisce i cinquantenni, lascia poco tempo per recuperare...salvo cirenei, volontari o obbligati, che si addossano la croce altrui.


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