I fichi d’India: dalla coltura alla cultura gastronomica (parte I)

Una storia antica, ma dal gusto fresco…

Il nome botanico del fico d’India è Opuntia-indicae appartiene alla famiglia delle cactaceemeglio conosciute come cactus. Il termine opuntiaci dice che la pianta fa parte del genere dei noti e conosciuti fichi d’India. È una pianta originaria del Messico, tanto che il primo popolo a coltivarla furono gli Aztechi. Questa pianta dal Messico si è poi diffusa ed è stata coltivata in tutto il Centro America sino ad arrivare in tutta Europa, con la scoperta dell’America, e a radicarsi in tutto il bacino Mediterraneo: in Salento, Calabria e Sicilia, in modo particolare, grazie al clima arido in estate.

Da millenni il fico d’India adorna il territorio del Sud Italia dalla costa all’entroterra. In Calabria la pianta nasce spontanea. Come un tempo, ancora oggi, questa pianta viene usata come recinzione e delimita i confini di piccole proprietà terriere. Le spine, la resistenza alla siccità e il crescere velocemente e l’aumentare di volume, rendono impenetrabile lo spazio.

Questo, di conseguenza, permette di avere una notevole quantità di frutti. Anche se non coltivati vengono raccolti per essere mangiati. Il segreto è raccogliere il frutto nelle prime ore del mattino, prima che il sole riscaldi nei campi e mai nelle giornate di vento, pena coprirsi di spine. In passato questo frutto era una risorsa importante. Oltre ai frutti, venivano utilizzati anche le bucce, accuratamente spazzolate per eliminare le spine o con getti di acqua o ancora con panni di lana. Le bucce venivano stese e fatte asciugare al sole per un paio di giorni, su un piano di legno, oppure legate tramite un filo distanziati tra di loro, appese ad essiccare per poi conservarle e consumarle per l’inverno.

Un altro metodo calabrese di conservazione contadina era l’utilizzo del sale in tinelli di terracotta. Questo metodo di conservazione è unico: tra uno strato e l’altro di bucce venivano stesi e aggiunti, oltre al sale, anche degli aromi come la scorzetta d’arancia, erbe aromatiche come timo, maggiorana e finocchietto selvatico. Per chi volesse esaltare il gusto, alcuni ci aggiungevano pomodori e peperoni. Con l’ingresso dell’inverno, venivano dissalate con abbondante acqua e saltate in padella.

Per conservare invece i frutti maturi per l’inverno, questi venivano cotti in forno per 3-4 ore ad una temperatura di circa 50 C°. Il frutto veniva disidratato, sino ad ottenere una vera e propria riserva di zuccheri per l’inverno, ottimi per consumarli durante il lavoro nei campi. Erano molto energetici.

Altri ancora saltavano in padella i frutti con le bucce fresche, con olio e cipolla come si cucinano i peperoni. Il gusto è più dolce rispetto a questi ultimi.

Una volta il fico d’India era considerato “il pane dei poveri”, da cui si ottenevano piatti tradizionali adattati allo stile di vita dei contadini. Oggi, ahimè, si consuma solo il frutto, mentre gli scarti vengono usati come foraggio per gli animali. I maiali ne vanno ghiotti.

La Calabria, inoltre, è ben conosciuta per la presenza dei distillatori che producono un liquore chiamato Indianellofrutto della macerazione delle bucce dei frutti freschi nei mesi di luglio agosto. È un delizioso liquore dal gusto dolce e fruttato. È un liquore di nicchia molto gradito dai turisti.

Ancora più a Sud, la Sicilia è una delle prime regioni al mondo dove la coltivazione di questa pianta è presente e vengono utilizzate delle tecniche secolari.

La prima fioritura avviene tra maggio e giugno con la formazione di frutti verdi nei mesi di luglio-settembre. I frutti verdi o vengono fatti maturare e raccolti, oppure ad essi si applica la tecnica dellascozzolatura, che porta ad eliminare i primi frutti della prima fioritura, per ottenere successivamente la nascita di frutti più grossi e succulenti. La seconda fruttificazione avviene nel periodo autunnale, dando vita ai frutti chiamati bastardoni. La leggenda narra che questa tecnica è stata scoperta casualmente, a causa di una lite tra confinanti, quando un contadino per dispetto, nella notte, con un bastone, colpì i frutti della “prima fioritura”, scozzolandola pianta, creando un enorme danno. A distanza di qualche mese, nacquero frutti più grossi, succulenti e numerosi. Oggi, la scozzolaturanon avviene più con bastoni, ma in maniera delicata, con le mani per evitare di creare danni e ferite alla pianta

In Sicilia, il fico d’India, è coltivato in modo piú sistematico rispetto alla regione Calabria; questo ha permesso che dagli inizi del secondo millennio si desse vita ad un consorzio, ottenendo il riconoscimento di prodotto DOP d’origine protetta e PAT, come prodotto agroalimentare tradizionale siciliano.

In Sicilia, circa il 90% della superficie coltivata è adibita al fico d’India. Solo a San Cono, si coltivano circa 1600 ettari di fico d’India. Una delle coltivazioni più grandi al mondo.

Il Messico risulta, invece, il primo produttore mondiale di questi frutti.

To be continued…


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Sono Antonio Abruzzese e sono un giovane appassionato. Cucina, tradizione, filosofia, e ricerca sono i vocaboli che mi identificano. Sono un ragazzo genuino che ama la tradizione, e il sapere popolare. Un amante della bellezza e del gusto. Mi piacciono le cose e le persone che hanno un proprio carisma, un proprio sapore..non amo ciò che è insipido, inodore e incolore. Anzi sono affascinato dalla cromaticità, dal profumo degli alimenti, e dalla bellezza che ogni cosa porta in sé.. Di professione cuoco, ma di fatto un grande buongustaio!