«Soli Deo Gloria». Così il grande J. S. Bach siglava ogni sua composizione, quasi a voler affidare ad ogni singola nota il compito di magnificare ed esaltare nient’altro che la gloria di Dio. Questa piccola curiosità ci fa comprendere quanto fosse grande la fede del compositore nato il 21 marzo del 1686 ad Eisenach, in Germania, e morto nel 1750.

Per avere un’idea di quanto sia sterminata la sua produzione musicale (Cantate, Passioni, Sonate e Partite, senza dimenticare la celeberrima Arte della fuga e l’altrettanto famosa Messa in Si Minore, straordinaria pagina musicale scritta per la liturgia cattolica da lui che era un protestante) basti pensare che l’opera omnia, pubblicata a Lipsia tra 1851 e il 1899, venne divisa in 46 grossi volumi. Accanto alla fede, dunque, emerge la grande laboriosità creativa del Kantor, ancor oggi in grado di dire qualcosa di quella bellezza di cui tanto si avverte l’esigenza.

Non senza indugio e ripensamento (è come estrarre un solo gioiello da un forziere stracolmo di preziosi), oggi propongo l’ascolto di un Corale estratto da quel capolavoro musicale (e teologico) che è la Passione di Cristo secondo il Vangelo di Matteo, eseguita per la prima volta il Venerdì Santo del 1727 nella Chiesa di San Tommaso, a Lipsia. Trasposizione musicale dei capitoli 26 e 27 del Vangelo di Matteo, la Passione è formata da recitativi (una forma di recitazione cantata), Arie meditative in cui un solista esprime i sentimenti dei protagonisti del dramma sacro, e Corali tratti dai libri di canto luterano che hanno la funzione di commentare liricamente le varie scene del racconto.

Il Corale in questione, O Haupt voll Blutt und Wunden, appare subito dopo le parole dell’evangelista affidate al recitativo: «E gli sputavano addosso. E prendevano la canna e con quella gli percuotevano la testa». Di seguito il testo tedesco e la traduzione, nell’edizione curata dal musicologo Quirino Principe:

O Haupt voll Blut und Wunden,
voll Schmerz und voller Hohn,
o Haupt, zum Spott gebunden
mit einer Dornenkron,
o Haupt, sonst schön gezieret
mit höchster Ehr und Zier,
jetzt aber hoch schimpfieret:
gegrüßet seist du mir!

Du edles Angesichte,
davor sonst schrickt und scheut
das große Weltgewichte:
wie bist du so bespeit,
wie bist du so erbleichet!
Wer hat dein Augenlicht,
dem sonst kein Licht nicht gleichet,
so schändlich zugericht’?

O capo pien di sangue e di ferite,

pien di dolore e amara derisione,

o capo, che per scherno è stato cinto

con una corona di spine,

o capo, già bellissimo di gloria

pieno d’onore altissimo e pregiato,

ed ora, invece, coperto d’ingiuria,

accogli il mio saluto!

Nobile volto, che facesti fremere

E tremare tutto il gran peso del mondo

In ogni altro frangente, come puoi

Essere così oltraggiato dagli sputi?

Come hai potuto impallidir così?

Chi ha la luce del tuoi occhi, un tempo

non uguagliata da nessun’altra luce,

ridotto in questo stato miserevole?

Siamo in uno dei momenti più drammatici della Passione. Il Figlio Di Dio, che aveva vissuto per gli altri, che non si era risparmiato, ora riceve in cambio sputi e bestemmie, violenza e derisione. All’interno della Passione di Bach, due cori si affacciamo sul racconto per esprimere i propri sentimenti opposti e contrastanti. Da un lato i soldati romani che scherniscono Gesù dicendo: «Salve, o Re dei Giudei» (Mt 26, 18); dall’altro il coro dei credenti, della Chiesa tutta che, inginocchiata davanti alla Croce, riconosce in quel volto pien di sangue e ferite, lo splendore del volto di Dio, del suo infinito amore, della sua gloria che è diversa da quella degli uomini. Da una parte l’odio, la sopraffazione, il potere senza controllo e un’immagine trionfale del Messia plasmata ad immagine dei propri idoli; dall’altra l’umiltà, l’amore senza limiti e lo scandalo di Cristo che si lascia condurre «come agnello al macello» (Is 53,7), che si lascia percuotere il corpo e l’anima, e perfino crocifiggere.

Una domanda allora sorge spontanea: Come è possibile che un volto possa essere, insieme, pien di dolore e amara derisione e bellissimo di gloria piena d’onore altissimo e pregiato, così come canta il Corale? Come è possibile scorgere in quel volto tumefatto, oggetto di violenza e derisione, coronato da spine, il volto stesso di Dio? Verrebbe da chiedere allo stesso Bach: come hai potuto rivestire di una melodia commovente e pacificamente rassegnata un testo così duro e a tratti violento? Rileggo il testo del Corale; riascolto la musica. D’un tratto mi vengono in mente le parole di Ratzinger lette tempo fa: «Non è dunque la bellezza esteriore della figura del Redentore a essere glorificata: ciò che si manifesta in Lui è invece la bellezza della Verità, la bellezza stessa di Dio che ci attira. “Non ha apparenza, ne bellezza…”. L’esperienza del bello riceve una nuova profondità, un nuovo realismo. Colui che è la “Bellezza in sé” si è lasciato percuotere sul volto, coprire di sputi, incoronare di spine. (…) Ma proprio in quel volto sfigurato appare l’autentica, estrema bellezza dell’amore che va “sino alla fine”, mostrandosi così più forte di ogni menzogna e violenza. Soltanto chi sa accogliere questa bellezza comprende che proprio la verità, e non la menzogna, è l’estrema affermazione del mondo. E’ semplicemente un trucco astuto della menzogna quello di presentarsi come “unica verità”, quasi che al di fuori e la di là di essa non ne esista altra. Soltanto l’icona del Crocifisso è capace di liberare da questo inganno, oggi così prepotente. Ma ad una condizione: che assieme a Lui ci lasciamo ferire, fidandoci di quell’Amore che non esita a svestirsi della bellezza esteriore, per annunciare proprio in questo modo la Verità della Bellezza»[1]. Grazie, Bach!

A voi tutti, buon ascolto.

S. BACH, O Haupt voll Blut und Wunden, Direttore Philippe Herreweghe

https://www.youtube.com/watch?v=LKiiyuifPBY

[1] RATZINGER J., «Ferito dal dardo della bellezza. La croce e la nuova estetica della fede», in Id., In cammino verso Gesù Cristo, Torino, San Paolo, 2004.