«Chi non sa mentire, crede che tutti dicano il vero»

(Franz Kafka)

E va bene, iniziamo con una verità: non è che uno si metta a ricordare Kafka, la mattina mentre fissa le piastrelle del bagno, senza motivo e come fosse solo la bestemmia dedicata alla macchinetta del caffè che non funziona.

Se lo fa, piuttosto, è perché ha in testa qualcosa, o peggio, il dissenso. Capite bene che non dev’essere cosa semplice accettare di essere in disaccordo con Kafka, specie in un’epoca fatta di aforismi: si decontestualizza una frase ad effetto ed il gioco è fatto, una nuova pillola di verità firmata è data. Basta citare correttamente, senza mai omettere il nome di chi lo ha scritto prima. Scacco matto.

Mica lo si dice che basta scrivere il sostantivo  “aforismi” seguito da un grande nome qualunque nella finestrella di Google, per ottenere un risultato!

Già, ma la tizia di cui sto parlando io Calipso si chiama, mica un nome qualunque. Il dissenso ce lo ha dentro e gli aforismi non li cerca. Lei ha letto una quantità inenarrabile di scritti, tanto da essere divenuta rapidissima: ha affinato la tecnica del superare le parti inutili e del riuscire a fermarsi dritta sulle righe del sodo, immagazzinandole e tenendole da parte, per il momento propizio.

Una mente terrorizzante, se ci pensate. Ha tutto infilato in scaffali perfettamente ordinati nella libreria del suo cervello e sa perfettamente dove andare a cercare ogni volta che serve. In sostanza, peccato per chiunque crei i momenti propizi, dal momento che poi le perle di saggezza le escono così: secche, nude e crude. Non ti guarda, te la serve fredde e poi si ritrae: “Non è scienza mia, lo ha detto Tizio”. E ti mette a tacere.

Mi sta antipatica per questo, perché è innocente. Eppure crea asfissia. Non la becchi mai impreparata, ma non ha l’aria della saputa… ancora mi chiedo come faccia.

Anzi, quando si è soffermata su Kafka, per esempio, lo ha fatto pensando che lui avesse detto proprio una cosa superficiale. Chi non sa mentire pensa che tutti dicano il vero. Ma che generalizzazione sciocca!

Non è affatto vero. Piuttosto, chi saprebbe mentire benissimo ed ha scelto di non farlo tanto da perderne la capacità, pensa (ad assoluta ragion veduta), che chiunque agisca mentendo faccia talmente tanti danni, da portare poi, quelli come lei, a non mentire mai. Mai.

È un po’ diverso.

E non mentire è una lotta. Scegliere ogni volta la strada meno battuta, quella fatta di ciottoli e tratti scoscesi che ti si presentano davanti quando, tendenzialmente, hai le scarpe meno adatte, è un fottuto rischio.

Il fatto è che la verità, dacché mondo è mondo, pare non sempre vada detta. Dicono che ometterla, a volte, funga addirittura da protezione dell’altro. E Calipso non ci è mica mai riuscita. E soprattutto detesta profondamente chiunque tratti lei in quel modo: non ti dico niente di quanto faccio, penso di fare o farei, per proteggerti.

Quanto odia quell’assioma. Lei pensa, piuttosto, di volere la verità ad ogni costo. E per quanto debba riconoscerla spesso come davvero dolorosa, preferisce così: conoscerla e scegliere lei per sé stessa come affrontarla, se accettarla, quando digerirla.

Dura? No. È fragile, credetemi. Ed è la certezza della sua fragilità che la porta a sottrarsi ai legami.

Se si abbandona, se si lascia catturare, è perduta.

Vi ho appena descritto il suo essere con le parole che Saramago usa per parlare di sé, ma non saprei far meglio.

Ed è stato proprio mentre avrebbe voluto dire tutte queste belle cose a Kafka, che le si è profilata l’ennesima occasione per mentire, o meglio, per omettere una qualche verità. E ancora no, non lo ha fatto.

Era frattanto uscita, camminava tranquilla come sempre appariva e le era squillato il cellulare: era il suo amico, Morgan. Parlavano di faccende quotidiane quando lei lo interruppe per dirgli alcune cose che nulla avevano a che fare con il discorso, ma che Morgan stava aspettando di sapere. Anche lui eh, il solito vecchio personaggio. Tutto normale, amica mia, ma sto al varco. Aspetto.

Non è accaduto nulla di sconcertante, ma sotto quel cielo terso, con quel bel sole, le apparve a un tratto evidente che il suo amore, per realizzarsi sino in fondo, doveva perdere ogni traccia d’egoismo; e in certi momenti, le sembrava d’essere già a quel vertice: desiderava soltanto la felicità dell’amico, si credeva capace di rinunciare (…) pur di saperlo contento. Ma per sé, era ben sicura di non volere appartenere a nessun altro.

Pensateci, se queste parole le ha scritte Goethe parlando di affinità elettive, un motivo dovrà pur esserci.

E dunque no, non esiste affatto Calipso che vede tutto buono, perché è buona. Esiste lei che è capacissima di cattiveria umana e ne ha subita talmente tanta da rifiutarsi categoricamente di reiterarla.

È vero, Calipso non mente mai. Ma ha un merito grandissimo: non è nata così. Quello status lo sceglie ogni giorno, sbattendo la porta in faccia a satana che cerca di invaderle lo specchio come con chiunque, ardente-mente, ma con lei no, non ha ancora vinto.


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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.