«Perdona, non perché loro meritano il perdono, ma perché tu meriti la pace»

(Antico proverbio orientale)

La doveva preparare quella lezione, c’era poco da fare. Aveva voluto la bicicletta ed ora toccava pedalare, di sera, in quel suo appartamento di un’ormai amena Via De Rossi, nel pieno centro della sua città, ridottasi all’ultimo momento, come era d’uopo per tutte le cose che doveva ma non voleva fare.

Mise in moto il miglior impianto gestaltico conoscesse: sguardo generico, analisi, riflessione/sintesi/verifica. Ah! La Gestalt! A volte tornava utile.

Bene, per prima cosa stese il copione che le sarebbe servito a far passare inosservata l’intolleranza verso i salamalekum: avrebbe accettato il caffè, lasciato tutto quanto avrebbe fatto da inutile orpello e dopo una serie di convenevoli e blablabla avrebbe dato inizio ad una specie di soliloquio.

Sì, ma fondamentalmente, come avrebbe potuto palesare i contenuti necessari? Lì, mentre raccoglieva le idee e quindi progettava, per poi dare vita ad un elaborato che fosse degno di quel nome, spuntò l’altra sé, quella che inesorabilmente scherzava e la prendeva per i fondelli ogni volta che c’era da affrontare qualcosa di indicativamente serio. E come diceva la nonna, si sa, Bertoldo scherzando si confessa.

Dunque, pensò: iniziamo.

Il verbo apprendere deriva dal latino apprĕhendĕre, composto di ad e pre(he)ndĕre (prendere) e non significa acquisire, che è retroformazione di acquisito, ovvero, fatto proprio.

Non a caso, apprendere è parente di venire a conoscenza; un concetto appreso lascia il tempo che trova, un concetto acquisito appartiene, modifica e ristruttura.

Orbene, ambedue i processi passano attraverso gli emisferi cerebrali ed è quindi d’uopo chiarire che l’emisfero destro è guidato da processi olistico/affettivi, mentre l’emisfero sinistro è guidato da processi logico/strutturali.

A tal proposito, si palesa la necessità di specificare un dato affatto trascurabile: non tutti siamo forti per merito o a causa del medesimo lobo.

Detto ciò, ancora è bene sottolineare che mentre l’apprendimento è razionale, guidato dall’emisfero sinistro e crea competenza provvisoria, l’acquisizione è globale, parte sfruttando le strategie olistiche dell’emisfero destro e passa alle analitiche del sinistro; così funzionando, crea competenza definitiva, che si accomoda nella memoria a lungo termine e non ti molla nemmeno se minacci di impiccarti.

Evidentemente, nella preparazione di quella lezione, la parte tecnica della faccenda stava già lasciando spazio alla più realistica parte personale, con annessa presa in giro autocostituita.

Continuiamo, pensò ancora.

Altrimenti detto, quella appena esposta è la ragione per la quale gli uomini della logica e dell’esistenza tradotta in matematica riescono a sopravvivere molto meglio dei loro concorrenti ed a guarire sempre. Il cuore e la pancia li hanno, ma provvisoriamente; sono relativi ad un certo fatto appreso, solo finché quel fatto ha una durata. Dopodiché non ricordano (pressoché) più un cazzo, così possono ripartire (pressoché) da zero.

Morale: stima infinita per Chi aveva distribuito la pendenza di ciascuno verso uno dei due emisferi.

Ovviamente, ricordò, mentre lei era in coda per il sinistro, che già agli esordi dell’esistenza doveva esserle sembrata faccenda notevolmente più funzionale, si era allontanata per andare in bagno e lo stronzo a cui aveva chiesto di tenerle il posto, forte della logica appena attribuitagli dal grande Distributore Automatico, si era completamente dimenticato di lei.

Così era rimasta nella fila dei dannati alle funzionalità dell’emisfero destro, quelli che possono lasciar passare un contenuto nella sua forma pratica, ma non hanno alcun potere di dimenticanza sotto l’aspetto emotivo. Loro possono serenamente rimuovere le parole che gli sono state rivolte, ma mai, mai dimenticheranno il modo in cui li hanno fatti sentire e per questo, fossero passati ancora milioni di anni, lo stronzo di cui sopra non lo avrebbero potuto perdonare.

Anche perché tante prove si possono superare in modo quasi garantito, ma il concorso per diventare Dio non lo avevano mai nemmeno istituito e, che lei ricordasse, il perdono stava a casa Sua, sempre.

La presunta lezione della destremisferica era così caduta nel ridicolo. Da quella casa in Via De Rossi non si cavava un ragno dal buco quella sera!

Perché non fosse finita ad impartire lezioni di banale informatica binaria se lo chiedeva da sempre, ma evidentemente in quel frangente si era data una risposta: uno stronzo l’aveva dimenticata e lei aveva perso il turno.

Questo era, se le pareva. E laddove non le fosse parso, comunque quello sarebbe stato. Avrebbe dovuto adeguarsi per il resto della vita, senza remissione alcuna… ma, di nuovo, disse guardando fuori dalla finestra e questa volta facendo anche ricorso all’ugola:

«Non ti perdonerò mai».

E non avrebbe potuto farlo perché grazie alla dimenticanza di quel sinistremisferico, che l’aveva fatta finire nella sala d’attesa meno comoda, ogni volta che veniva sottoposta ad un sopruso, ad uno stato di perdita, ad un abbandono, ad uno stato d’ansia, la sua amigdala (deputata a difendere  chiunque dagli stati di paura), iniziava a litigare con l’ippocampo (assoldato per mettere in moto i lobi frontali e dare inizio ai processi di memorizzazione); questo impediva all’adrenalina di trasformarsi in noradrenalina e la faccenda si faceva seria. Lei diventava improvvisamente incapace di imparare qualsiasi cosa, figuriamoci l’arte delicata e sopraffine del perdono.

Orbene, mi torna in mente Einstein che quando faceva asserzioni strane per la sua tanto amata scienza dura, precisava che certe trovate apparentemente filosofiche, in realtà erano assolutamente fisiche.

Sottolineare questo evento mi è già costato molto in passato. Ma ora, come allora, me ne infischio del possibile prezzo e sottolineo che i pensieri di quell’insegnante di Via De Rossi, nonché quanto accadeva alla e nella sua testa, non era nulla che avesse a che fare con la filosofia: erano fondamentalmente le basi della neurobiologia, il che rendeva la faccenda davvero poco divertente.

E mentre una melodiosa The Unforgiven passava random in versione unplugged, che fine fece la lezione per il giorno dopo? Semplicemente non fu preparata e, come di norma, fu tenuta nell’unico modo possibile e credibile: a braccio. Ovazione.

Del risultato che avrebbero concretamente meritato la sua persona, la sua autostima ed il suo ego, come sempre, neanche l’ombra. Perché sentirsi forti, avendone peraltro obiettiva ragione, non voleva mica dire andare avanti. Sentirsi forti voleva dire andare oltre e per farlo, realisticamente, occorreva essere freddamente capaci di cancellare.

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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.