di Marina Agostinacchio

C’ è ancora domani, il film di Paola Cortellesi, smuove coscienze assopite, quelle di noi non più giovani, soprattutto, e apre lo spettatore a riflessioni né retoriche, né scontate.
Dopo avere letto su Odysseo, un bell’articolo di Miriam Arsedea Massarelli, ho sentito che questa è l’ “occasione” per potere esprimere qualche idea su quanto visto al cinema.

Sono una lettrice padovana di Odysseo.
Quando sono andata a vedere il film della Cortellesi, le sale di proiezione della mia città e il cinema,(uno degli ultimi rimasti nel mio quartiere), in queste settimane si sono riempiti incredibilmente di gente.
Al Cinema Rex di Sant’ Osvaldo, c’era la coda, un prodigio che si ripete da giorni, proprio per merito di chi ha potuto assistere e sentirsi partecipe della storia di una donna, come tante e non solo di fine anni quaranta…

Sarebbe banale semplificare e ridurre la narrazione alla scelta del bianco e nero ( che per altro ci riconduce mentalmente a quel meraviglioso cinema neorealista di Rossellini, Visconti, De Sica, Lattuada, Zampa, Blasetti, Germi… ), una scelta obbligata anche un po’ per l’ ambientazione storica della vicenda.

Il film è soprattutto, secondo me, un ritratto di donna attraverso, più che il dire dei dialoghi, gli sguardi, le espressioni, degli attori.
Nel corso della storia, infatti, proprio quegli occhi, la tessitura dei volti, con la loro contrazione facciale, muta, si distende a celebrare una consapevolezza di crescita interiore.

Potrei riassumere con un dato concreto la sintesi di una nuova “nascita” sociale, ponendo il focus sulla camicetta “fatta” di taglio e punti su misura, per giorni e giorni, da Delia.
Il tempo “rubato”, il tempo dedicato a un evento atteso, un tempo fatto di tanti istanti, tanti piccoli atti di meditazione: questo è stato per me l’ ago di una meridiana che indicava un’ora luminosa da raggiungere.

Delia madre sapiente, Delia che sa liberare sua figlia dall’inganno di un amore malsano, o come diremmo oggi tossico. Sa essere donnamadre, non madreamica, come spesso accade alle mamme per volere indossare un abito adolescenziale ed evitare quei famosi no che costringerebbero ad ingaggiare infinite discussioni con i figli.
“Delia e le altre”, avrei voluto ribattezzare la scena finale, le altre e Delia, tutte ammassate sorridenti sulla scalinata, dopo avere votato.

Perché sì, il film è corale, un’unica voce di donna, a cui Delia dà un volto, il volto dell’ amica confidente, il volto delle comari sedute fuori dalle loro case, il volto della figlia giovane.
Anche quest’ultima sembra indicare uno zenit, la ribellione, il coraggio, la forza che in realtà convivono pure nella madre.

I giovani, a saperli bene ascoltare, spesso ci indicano la strada…
Infine, il gioco della leggerezza …l’ ironia, l’ affettuosità del reiterato perdono della moglie che sceglie comunque di non andarsene di casa ma di fare la sua rivoluzione partendo proprio dal nido, costruito con tanta fatica.

Tutti ci saremmo aspettati la fuga di Delia e l’equivoco della lettera che le arriva a casa, è un segno di maestria di costruzione della vicenda
Le scene a cui assistiamo anche nella realtà, quelle dei maltrattamenti su Delia da parte del marito ( e che dire poi delle teorie ” educative” sulle donne, espresse dal vecchio suocero…), sfumano nella chiusura di imposte, di porte, di finestre, si sciolgono nel ballo – caricatura di Ivano e Delia, quasi a diluire la tensione e proprio per questo a obbligare lo spettatore a un tacito dissenso o a un tacito “Mea culpa”.

“C’è ancora domani”, sussurra Delia, allorquando vede sfumare la possibilità del giorno della votazione con la morte del suocero e il “carezzevole consuolo” (così si dice in certi luoghi del sud Italia) della gente falsamente amica, (fatta eccezione per la figura di Marisa, la vera amica). Ma lo spettatore potrebbe ancora intendere che quella frase, uscita dalle labbra di Delia, sia riferita alla sua probabile fuga con Giulio, l’ antico amore platonico.
“C’è ancora domani”, quasi un soffio di vento che prende il largo dalla mente e dal cuore di Delia e che vuole essere un’ unica voce che attraversa altrettante voci, menti e cuori di mille donne di cui Delia sembra incarnare le attese e le istanze.

Personalmente, infatti, ho letto il film come un manifesto programmatico di noi tutte, ho visto le scene, tessute in questo affresco del passato, come un arazzo plurale di seta e fatica, dispiegato come le lenzuola stese da Delia (uno dei tanti lavori della protagonista con cui contribuiva, (non riconosciuta dal marito e dal suocero), a mantenere la famiglia.

Ultima annotazione: i silenzi di Delia contrapposti al rozzo parlare di Ivano, alle offese indirizzate alla moglie, ai suoi, di lui, “grassi” movimenti nello spazio scenico occupato, in antitesi con il dolente sussurro per una negoziazione ragionevole col marito, incapace di ascolto, i piccoli passi della donna, Delia, che cercano invano una via di fuga per poi arrendersi… il meraviglioso sacrificio per liberare la figlia dalla punizione paterna (aveva fatto bruciare le patate sul fuoco mentre era col fidanzato a chiacchierare felice)
Proprio quei silenzi sono quella pietra di inciampo che permettono, sedimentati nel cuore, un attraversamento da sponde di fiume opposte.