Salvini ha scelto la paura e la minaccia dissimulata per raccogliere il consenso degli impauriti, ormai un fiume

Caro Direttore,

la storia del Salone di Torino merita qualche pacata considerazione, oltre ogni sacrosanta indignazione che essa suscita. Al Salone del libro arriva quest’anno Altaforte, editore di riferimento di Casapound e della destra razzista e antisemita che sta rimettendo radici in Italia. Il fenomeno è conseguenza dei populisti e sovranisti che si aggirano in Europa i quali prosperano sulle paure e sulle insicurezze, alcune certe e altre inventate ad arte, che attraversano il nostro tempo. Non è un caso che, fra le centinaia di editori italiani, il libro-intervista di Matteo Salvini, simbolo del nostro sovranismo, sia pubblicato da Casapound. Perché? Perché Salvini ha scelto la paura e la minaccia dissimulata per raccogliere il consenso degli impauriti, ormai un fiume.

Dunque Altaforte non è un editore qualunque, è la voce di un nazifascismo dichiarato, esibito, che nel seminare paure non è secondo a nessuno, anzi. Non è questa la sede per parlare delle violenze che quotidianamente i suoi adepti seminano nelle nostre città. Violenze note e, purtroppo, tollerate perché la loro viltà si accanisce contro i poveracci: donne, neri, zingari, derelitti.
A Torino si celebra l’ingresso in società di questi figuri che rimpiangono i manganelli, quando va bene, e i forni crematori.
La reazione degli antifascisti e dei democratici non è stata univoca, come è giusto in un Paese libero. Chi ha deciso di disertare, chi ha deciso di restare e di Resistere.

Credo, per quel che vale il mio parere, che la ragione ci debba guidare anche in questi frangenti tragici e scivolosi. I superstiti della Shoa hanno tutto il diritto di non calpestare lo stesso terreno dove si aggirano i neonazisti. E gli altri, i democratici incerti fra abbandono e presenza? Penso che abbandonare per disgusto sia legittimo. Ma penso sia più giusto presidiare il campo contro i figuri di Casapound. L’Aventino non porta nulla di buono neanche e soprattutto quando si parla di libri e di cultura.

 


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Pugliese errante, un po’ come Ulisse, Antonio del Giudice è nato ad Andria nel 1949. Ha oltre quattro decenni di giornalismo alle spalle e ha trascorso la sua vita tra Bari, Roma, Milano, Palermo, Mantova e Pescara, dove abita. Cominciando come collaboratore del Corriere dello Sport, ha lavorato a La Gazzetta del Mezzogiorno, Paese sera, La Repubblica, L’Ora, L’Unità, La Gazzetta di Mantova, Il Centro d’Abruzzo, La Domenica d’Abruzzo, ricoprendo tutti i ruoli, da cronista a direttore. Collabora con Blizquotidiano.  Dopo un libro-intervista ad Alex Zanotelli (1987), nel 2009 aveva pubblicato La Pasqua bassa (Edizioni San Paolo), un romanzo che racconta la nostra terra e la vita grama dei contadini nel secondo dopoguerra. L'ultimo suo romanzo, Buonasera, dottor Nisticò (ed. Noubs, pag.136, euro 12,00) è in libreria dal novembre 2014. Nel 2015 ha pubblicato "La bambina russa ed altri racconti" (Solfanelli Tabula fati). Un libro di racconti in due parti. Sguardi di donna: sedici donne per sedici storie di vita. Povericristi: storie di strada raccolte negli angoli bui de nostri giorni. Nel 2017 ha pubblicato "Il cane straniero e altri racconti" (Tabula Dati).