L’uomo che sa, colto e istruito, dovrebbe insegnare per primo la parola “vita”
Non so come abbia potuto barattare, rinunciare alla propria libertà, lo scrittore Roberto Saviano.
Ho letto i suoi libri, consumo i suoi articoli, guardo i suoi interventi in tv e i video: ho sempre da imparare, tutto può illuminare la mia ignoranza. Ha aiutato la conoscenza, gliene sono grato, in Italia della poco conosciuta poetessa polacca Maria Wisława Anna Szymborska. La mafia lo ha minacciato, una organizzazione criminale, gente che deve uccidere e lasciare il morto ben visibile perché sia di monito, di avvertimento al silenzio e all’omertà. Ha reso pubblici con la sua penna, fatti che non erano stati ancora puniti dalla magistratura, non è da tutti.
Ho sentito Roberto Benigni, attore e regista premiato con l’Oscar, ricordare che anni fa lo incontrò e invito a cena, era con un altro premio Oscar Nicola Piovani, musicista; e Saviano, dispiaciuto perché sotto scorta, dovette declinare invito a malincuore.
Ma che vita è? Io avrei scelto di rischiare, avrei rinunciato alla scorta, avrei invitato i miei presunti persecutori psicologi e fisici a farsi avanti, perché “ogni tanto pisciare dietro un albero guardando il cielo” riconcilia e avvicina alla bellezza delle cose e degli uomini.
È cattivo dirle signor Saviano che “chi non ha paura di morire, muore solo una volta”?
Magari il mio è il coraggio ipocrita di chi non ha sfidato degli assassini.
Un Kennedy sapeva sicuramente di dover morire e non di vecchiaia, era la fine degli anni 60, aveva sfidato l’America e il mondo con il suo progressismo, salvato l’occidente da una probabile guerra nucleare con la Russia. Ha accettato di girare a piedi e in macchina per l’America per avvicinarsi alla gente che lo aveva votato e per dovere istituzionale, era uno degli uomini più protetti al mondo. E il suo destino si è compiuto, era giovane e ricco e bello, poteva vivere altrimenti.
Un altro uomo, suo coetaneo più o meno, di colore, avrebbe potuto abbandonare la sorte di chi “diverso” come lui non poteva sedere sugli autobus né entrare nei bar riservati agli “esseri superiori bianchi”: e insegnare o sciorinare sermoni, ma ha accettato le conseguenze delle sue azioni.
Ricorda Martin Luther King? Il suo discorso, “Io ho un sogno”, non l’ha mai letto in un programma televisivo: ora è tornato attuale; né ha mai raccontato la storia di quella sarta di colore che nel 1955 in Alabama, sfidò le leggi sulla segregazione razziale sedendosi su di un bus, in un posto riservato ai bianchi: lo stesso King, giovanissimo, si mobilitò per lei insieme a tutta la comunità afroamericana. Gli costerà la vita.
In Iran una donna avvocato per aver invocato i più elementari diritti umani è stata rinchiusa in un carcere e dicono vessata, torturata.
Una bambina di 4 anni dorme in attesa che un miracolo la riporti dai suoi genitori, un proiettile destinato ad un pregiudicato di rimbalzo l’ha colpita mentre passeggiava per il centro di Napoli assieme alla sua famiglia.
Antonio Piccirillo, figlio del boss Rosario Piccirillo che è ancora detenuto in carcere, ha manifestato in piazza insieme ad altre 300 persone per dire “no” alla camorra. Antonio vuole riscattarsi moralmente dal passato e presente della sua famiglia o intende anche cercare di riabilitare suo padre?
Qualunque sia la verità, ha dimostrato coraggio e intelligenza. Potrebbe collaborare con lo Stato, fornire elementi utili a colpire il cuore di quel cancro che ha infestato di metastasi una delle città più belle d’Europa: questo possibilmente prima di proclamarlo idolo del popolo napoletano, celebrarlo nei talk show e magari dargli una parte in Gomorra.
Il problema irrisolto della Politica italiana, caro Saviano, oltre quello di regolarizzare l’immigrazione è tutelare il popolo che rappresenta e l’ha votata.
La sua vita signor Saviano, come pure di uno dei tanti politici, non vale più di quei cristi difesi solo dalla nostra Costituzione e descritti per ciò che sono realmente da Pasolini. La scorta la si dovrebbe meritare, istituirla per premio, assegnarla a chi sta sacrificando la sua vita lottando ogni giorno: abbiamo più lapidi che nomi nei tribunali.
Sono cosciente che il suo “scrivere” l’ha condannata a vivere da recluso, ma l’ha resa più che benestante. Lei, tra il comico e il tragico, è un uomo fortunato.
Noialtri siamo stati abbandonati dalle istituzioni, siamo preda di sciagurati e farabutti privi di coscienza.
L’uomo che sa, colto e istruito, dovrebbe insegnare per primo la parola “vita”.
Dall’articolo si evince che Saviano debba rinunciare alla scorta per essere credibile (e quindi rischiare la vita) e che, “se scrivi cose giuste ma fai i soldi”, non sei credibile. Penso anch’io che casi come Rosario Livatino (che alla scorta ha rinunciato esplicitamente, Pino Puglisi, o Beppe Diana debbano essere presi com’esempio. Ma, nel contempo, penso che non possa essere una colpa essere sotto i riflettori, dire il contrario è fare il gioco dei mafiosi. Essere santi (in senso ecclesiale ma anche “sociale”) non può essere l’unico modo per combattere la mafia. Così l’antimafia diventa roba per pochi, invece deve essere un movimento popolare di cui i santi (i giusti) devono essere portati ad esempio, ma non come unica via. Se Saviano “fa i soldi” ma i Casalesi sono in difficoltà io guardò il risultato, cioè la luna. Non metto il risalto il dito. Se dovessero servire dei professionisti dell’antimafia per sconfiggere la mafia, ben vengano. Io non credo che bastino, ma non per questo bisogna biasimarli. Credo, che Saviano abbia fatto un lavoro meritorio, nel campo dell’antimafia. Può essere attaccato per altro, ma attaccarlo per questo è fare il gioco di camorristi e politici che ai camorristi strizzano l’occhio.
Gentile lettore Sig. Antonio Pepe, sono profondamente d’accordo con Lei.
“La scorta la si dovrebbe meritare, istituirla per premio, assegnarla a chi sta sacrificando la sua vita lottando ogni giorno: abbiamo più lapidi che nomi nei tribunali”.
Quindi secondo lei Saviano non merita la scorta, non ha sacrificato la sua vita e per essere credibile dovrebbe avere una lapide… Guardi che ce l’ha già, la lapide, nonostante sia ancora vivo (se “vivo” significa appunto vivere come lui, unica cosa giusta che lei ha detto)… Forse è lei a non vederla, questa più che “metaforica” lapide…
Se ritiene l’esistenza di Saviano così “fortunata”, perché allora “tra il comico e il tragico” non fa a cambio con lui?… Su, forza. Si è certi che Saviano ne sarebbe ben lieto. Ma lei, sinceramente, avrebbe davvero il coraggio di farlo?… E’ facile (stra)parlare con il “fondoschiena” al sicuro!…
Forse si dovrebbe far funzionare un po’ di più i “neuroni specchio”… ovvero, immedesimarsi…
“È cattivo dirle…?”. Sì, è cattivo. Ed anche ipocrita, come lei stesso afferma: “Magari il mio è il coraggio ipocrita di chi non ha sfidato degli assassini”. Almeno su questo ha le idee chiare.
Spiace, infine, notare en passant qualche refuso: “psicologi” (= psicologici); “occidente” (= Occidente).
“L’uomo che sa, colto e istruito, dovrebbe…”. Dovremmo, tutti, avere più umiltà; quantomeno, di fronte a cose che non riusciamo pienamente a comprendere, restare in rispettoso silenzio.