Un Paese sonnambulo e cieco

Dicembre è tempo di bilanci e puntuale è arrivato il rapporto del Censis che interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del Bel Paese. Il rapporto, giunto alla sua 57 edizione,  si divide in tre parti : nella prima viene dato un quadro generale della situazione; nella seconda vengono passati in rassegna gli aspetti di maggior interesse dell’anno che sta passando, infine viene effettuata un’analisi per settori, dal Welfare al lavoro passando per sicurezza, territorio e sanità.

È una diagnosi preoccupante quella che traspare dalla lettura dei dati del Rapporto. L’italiano è un sonnambulo, un cieco di fronte ai presagi di un mondo del quale gli sfugge la più profonda percezione e realizzazione, un fenomeno diffuso nella “maggioranza silenziosa” degli italiani e che colpisce anche le classi dirigenti. I dati demografici sono un esempio dell’incapacità di far fronte a un calo drammatico: nel 2050 la popolazione fino a 65 anni sarà il 65,5 %, mentre quella fino a 35 anni sarà il 34,5 %. L’italiano è un essere demotivato, che sente di contare poco nella società dell’incertezza, convinto che il nostro Paese sia in declino, grazie anche agli effetti collaterali della globalizzazione, un dato comune per tutte e tre le fasce d’età prese in considerazione.

Il Rapporto parla di “mercato dell’emotività” nel quale  fideismo e un millenarismo in salsa moderna hanno la meglio sul raziocinio e sulla ricerca di soluzioni alternative. Il cittadino ha paura che i cambiamenti climatici possano portare a un clima incontrollabile e ostile (84%), che i problemi strutturali irrisolti nel nostro Paese provochino una crisi economica e sociale (73%), che la congiuntura socio economica e la crisi ambientale possano aumentare i flussi migratori (73%), che la violenza impatti drammaticamente (70%) e che si patisca la siccità (68%). Meno preoccupato da una scarsità di energie (48%), ma ragionevolmente turbato (53%) dal cospicuo debito pubblico dello Stato.

Esiste una tendenza al soggettivismo, non solo nella dirompente forma dei socials che accentuano l’isolamento di un individuo apparentemente al centro dell’universo, ma anche nel mondo del lavoro nel quale manca quella ricerca collettiva volta al miglioramento, al mercato dei maggiori consumi e dell’agiatezza. É il tempo dei desideri minori, in cui il lavoro ha smesso di essere il centro della vita per l’87% della popolazione, dove è importante pensare più a sé stessi (80%).

Perde il lavoro anche la sua funzione sociale che anzi viene visto come un ostacolo e non più come un mezzo per realizzarsi. Il 94% della popolazione, suddivisa per fasce di reddito diseguale, è unita dall’importanza di avere tempo per sé stessi, che possano essere hobby, amici, tempo libero. Importante è anche l’equilibrio psicofisico per il 78 % delle fasce di reddito. Colpisce il dato sulla pressione e l’ansia di ogni giorno che rende essenziali i momenti da dedicare a sé stessi: la fascia della popolazione con un reddito fino a 15000 euro ha risposto positivamente per il 70% degli intervistati, ma più si innalzano i redditi, meno si avverte tale pressione.

Il Rapporto Censis, che parla della fine dell’espansione monetaria e del rallentamento della crescita, con livelli di investimenti lordi diminuiti dell’1,7% e delle esportazioni dello 0,6%, rileva il record del tasso d’occupazione. Ma restiamo fanalino di coda nell’UE per tasso di occupazione e di attività, dove i valori medi sono ancora lontani dai nostri.

C’è stato un incremento della quota detenuta dal Paese sul valore complessivo del turismo internazionale (dal 3,9% al 4,5 %) e un raddoppio della spesa dei viaggiatori stranieri in Italia dal 2021 al 2022, con l’industria ricettiva con un tasso di incremento più alto per quanto riguarda le strutture a cinque stelle. Alla riduzione di alberghi e strutture di fascia bassa si registra un incremento delle locazioni brevi, in particolare degli alloggi gestiti in forma imprenditoriale (+52,9%).

La società italiana sta cambiando a partire dal suo nucleo essenziale, la famiglia. Diminuisce il numero delle famiglie tradizionali, con il numero dei componenti composto in media da 2,1, a differenza dei 4 del 1951, con un incremento delle famiglie monogenitoriali e con più nuclei composti da un solo individuo.

Gli italiani si mostrano favorevoli ad alcuni nuovi diritti civili come l’eutanasia (74%), il Ius soli, ossia cittadinanza agli stranieri nati in Italia da genitori stranieri regolarmente presenti e lo Ius Culturae (76%) cioè la cittadinanza data agli stranieri nati in Italia o arrivati entro i dodici anni che facciano un percorso formativo. Con oltre il 70% troviamo anche l’adozione da parte dei single. Più della metà ritiene che persone dello stesso sesso possano accedere all’adozione, solo il 34, 7 % parla di maternità surrogata.

Uno sguardo alla situazione di giovani e anziani. I giovani che non voteranno tra i 18 e i 34 anni saranno il 21,8 %, quelli che non lavorano, né studiano, né frequentano attività formativa sono 1,7 milioni. Solo la Romania fa peggio. Il 60,6 % è pronto a lasciare il Paese andando a far crescere la quota dei cosiddetti Expat italiani, circa 5,6 milioni. Il clima diventa una rivendicazione sociale per il 30,5 % dei giovani tra i 18 e i 34 anni. Le nuove generazioni per gli italiani sono i più penalizzati (57,3%) rispetto alla popolazione in età lavorativa (30,8%) e agli anziani (11,9%).

Gli anziani infine saranno più soli, sempre di più e senza figli. Molti futuri anziani sono convinti che saranno più poveri dei loro genitori nel periodo della vecchiaia e di conseguenza meno indipendenti.

Presente mesto, futuro cupo.

Una diagnosi che non può essere ignorata e che apre pochi spiragli di speranza per l’italiano medio, quello che rientra un po’ nella maggioranza dei sondaggi. È un individuo che ha perso la bussola, disorientato e senza quei punti cardinali, come la politica dei vecchi partiti, che davano un senso alla sua vita e al suo lavoro. Il lavoro, appunto, appare un ostacolo alla felicità e a sé stessi e non più un modo per affermarsi e realizzarsi. Giovani e anziani, le categorie più in sofferenza,  vivono o vivranno un doloroso sopravvivere e non godranno della fortuna e della serenità di cui hanno giovato i nati dopo il boom economico. La politica e la classe dirigente arrancano, analizzando i problemi ma non riuscendo a dare soluzioni. L’Italia del 2023 sarà ricordata sonnambula, cieca, inerte di fronte ad un mondo che non aspetta e che paurosamente la tiene bloccata in un’arrendevole accettazione dello status quo.