Cosa pensa la gente di Hong Kong di quello che sta succedendo?
Dopo mesi di silenzio a causa dell’emergenza Covid-19, il movimento “pro-democrazia” di Hong Kong è tornato a manifestare per le strade della regione autonoma che, secondo il principio “Un Paese due sistemi”, è parte della Cina, ma ha un proprio governo autonomo, e delega a Pechino solo la politica estera e la difesa. Sono riprese quindi le manifestazioni che prima della pandemia avevano visto la partecipazione di centinaia di migliaia di cittadini, e che erano cominciate per protestare contro la legge sull’estradizione allora in discussione al parlamento di Hong Kong. Questa legge avrebbe consentito l’estradizione di criminali, tali o presunti, provenienti dai 20 Paesi con i quali Hong Kong non ha ancora stipulato un trattato bilaterale al riguardo, Paesi tra cui figurano anche la Cina continentale, Macao e Taiwan, ma per i manifestanti si trattava invece di un modo per far giudicare a Pechino, imputati per reati politici residenti o rifugiati a Hong Kong.
In seguito alle proteste, il governo locale ha deciso prima di “congelare” la legge per poi affossarla del tutto. Nel frattempo però, il numero delle richieste dei manifestanti era salito a 5 (dimissioni del Primo Ministro hongkonghino Carrie Lam con riforma elettorale per le nuove elezioni, ritiro della definizione di “sommosse” per le proteste, rilascio incondizionato dei manifestanti arrestati e commissione d’inchiesta sull’operato della polizia, oltre al ritiro della succitata legge), perciò le proteste sono comunque continuate e da pacifiche sono diventate sempre più violente, con lanci di pietre, utilizzo di archi e frecce, fino ad arrivare al gesto estremo di un manifestante che ha dato fuoco a un altro cittadino che stava mostrando il suo disappunto nei confronti dei manifestanti.
Dal canto suo, la polizia non è stata certo a guardare, e si è distinta per l’uso di gas lacrimogeni, manganelli, proiettili di gomma e in un paio di casi anche pallottole vere e proprie, che per fortuna hanno provocato solo feriti. Durante le proteste sono morte due persone, un ragazzo che è caduto dal terzo al secondo piano di un parcheggio, e un anziano colpito da un mattone lanciato dai rivoltosi, ma a questi vanno aggiunti manifestanti disperati che si sono suicidati.
Ora invece al centro delle proteste c’è la legge di sicurezza nazionale approvata dal parlamento cinese, che rischia di mettere fine o di limitare fortemente l’autonomia di Hong Kong.
Ma cosa pensa la gente di Hong Kong di quello che sta succedendo? Oltre al pensiero dei manifestanti, presente su tutti i giornali per bocca dei loro portavoce come Joshua Wong, Agnes Chow e Nathan Law, e che, stando anche ai risultati delle ultime elezioni distrettuali, sembrano rappresentare la maggioranza della popolazione, ho provato a intercettare anche le opinioni della gente che non scende in piazza, ma che a Hong Kong ci vive ed è preoccupata per il proprio futuro.
Le persone che sono riuscito a intervistare tramite i social network, non trovandomi io a Hong Kong, mi hanno chiesto di non riportare i loro veri nomi nell’articolo. Naturalmente rispetto la loro decisione e li ringrazio per la testimonianza, a cominciare da G. C., che risiede in Italia e ha ottenuto anche la cittadinanza del nostro Paese dopo aver sposato un nostro concittadino, ma torna spesso a Hong Kong per trovare i suoi familiari, e si trova lì anche in questi giorni. Mi scrive: “Ormai è quasi un anno che il movimento pro-democrazia (lo chiama anche anti-cinese, ndr) ha dato via alle manifestazioni di protesta, e in questi giorni è stato raggiunto il punto più buio, con il governo di Pechino che ha varato la legge di sicurezza nazionale, praticamente violando l’articolo 23 della Legge Fondamentale (la costituzione di Hong Kong), che prevede che una legge del genere debba essere votata e approvata dal parlamento di Hong Kong. Tutti noi ci aspettavamo che Pechino avrebbe reagito alle manifestazioni, ma non pensavamo a una cosa del genere. Ciò praticamente significa che a Hong Kong potrà operare anche la polizia della Cina continentale, con tutte le limitazioni alla libertà che ne conseguiranno, il che renderà praticamente inutili le elezioni legislative del prossimo settembre, con Pechino pronta a squalificare i candidati ritenuti scomodi. Da cittadina di Hong Kong però, pur non essendo molto ottimista sul futuro della mia città, consiglio ai giovani studenti che sono scesi in piazza in questi mesi di non arrendersi all’idea di emigrare a Taiwan o altrove, ma di studiare e lavorare per migliorare la situazione di Hong Kong in maniera pacifica, la violenza dà solo adito al governo di agire contro la nostra libertà”
“Questa protesta riguarda soprattutto le nuove generazioni” dice C.P., trentatreenne uomo d’affari “che stanno lottando per ciò in cui credono e per questo li rispetto, ma penso che essendo loro giovani e passionali, siano più facilmente manipolabili e temo che possano inconsciamente nuocere alla loro causa. Io penso che il diritto di esprimere la propria opinione liberamente e pacificamente debba essere preservato, e temo che la legge sulla sicurezza possa minare questa libertà, oltre a creare problemi economici alla città se gli Stati Uniti non ci riconosceranno più lo status di territorio autonomo dalla Cina continentale. Capisco dunque le ragioni dei manifestanti, anche se non condivido i metodi violenti di una parte di loro, ma va ricordato che lo scorso 21 luglio sono stati loro vittima di aggressione da parte di un gruppo di gangsters non identificati, e la polizia è intervenuta solo quando questi se ne erano già andati, mentre di solito le forze dell’ordine sono decisamente solerti nell’intervenire contro i manifestanti”.
Di diverso parere è T.C., trentacinquenne impiegata d’azienda: “Io ero una ragazzina quando Hong Kong è tornata dal Regno Unito alla Cina (1997), ma comunque non ho mai notato differenze da allora. Da quando sono iniziate queste proteste invece, è diventato difficile e pericoloso anche andare a lavorare, praticamente ho dovuto rinunciare ai mezzi pubblici. E cosa hanno ottenuto così? Inoltre, i manifestanti dicono di essere democratici, ma non lo sono con chi non la pensa come loro. Con un’app hanno segnalato negozi e locali che appoggiano la protesta e quelli che invece sono contrari, invitandoli a boicottarli. Una volta sono stata insultata e minacciata appena sono uscita da uno dei locali sgraditi ai manifestanti, ho avuto davvero paura. Per me non è una questione ideologica, non mi interessa affatto la politica, spero solo che la vita a Hong Kong ritorni a essere quella di prima”.
Hong Kong è una città che accoglie numerose comunità di stranieri, tra cui gli italiani, e tra questi c’è anche S.M., cuoco cinquantenne che vive a Hong Kong da più di dieci anni. Anche lui preferisce rimanere anonimo perché “I manifestanti si dichiarano democratici, ma in realtà accettano molto mal volentieri opinioni diverse dalla loro” afferma. “Queste proteste non porteranno a nulla di buono, ma nel frattempo hanno già provocato gravi danni economici. Chi richiede l’indipendenza, ignora che Hong Kong è da sempre parte della Cina, era solo stata data in concessione agli inglesi (in seguito alle guerre dell’oppio, ndr). Chiedono più democrazia? Hong Kong è un territorio autonomo che gode della libertà di espressione e di associazione, ma queste proteste rischiano solo di privare la città di queste libertà, perché manifestazioni in cui teppisti che spesso hanno meno di diciott’anni devastano tutto ciò che incontrano, hanno ben poco di democratico, e hanno reso la polizia più dura e meno tollerante. Molti occidentali si sono uniti alle proteste, secondo me a sproposito, ma tanti altri invece sono tristi per questa situazione che sta rovinando il posto dove hanno scelto di vivere (nei social gira il video di un altro italiano che nei mesi scorsi ha lanciato una campagna a sostegno della polizia di HK, criticando i manifestanti che, a suo dire, hanno rovinato quella che era una città magnifica). Siamo sicuri che dietro tutto ciò non ci sia la mano destabilizzatrice di qualche potenza straniera?”.
Di diverso parere è N.J., trentaseienne impiegata filippina, la cui comunità è la più numerosa tra quelle straniere, e vive a Hong Kong da 14 anni. “Sono al 100% a favore dei manifestanti” ci dice, “non solo perché penso che abbiano tutto il diritto e le ragioni per protestare, ma anche perché la legge sull’estradizione sarebbe pericolosa pure per noi stranieri, che potremmo essere accusati ingiustamente e ritrovarci a essere giudicati dal sistema giudiziario cinese, non certo famoso per la sua trasparenza, invece di essere processati a Hong Kong, che ha un apparato giuridico molto più garantista”.
Tra le opinioni che ho raccolto, c’è anche quella di W.A., trentanovenne di Pechino, ma coniugata con un cittadino hongkonghino da cui ha avuto un figlio l’anno scorso: “Io sono una cinese del continente, ma mi sono trasferita a Hong Kong cinque anni fa, perché qui la qualità della vita è decisamente migliore” racconta, “o forse dovrei dire che era migliore, perché questo ormai è un posto sempre meno sicuro. Penso che Hong Kong sia finita al centro di una guerra fredda tra Stati Uniti e Cina, e a pagarne le conseguenze sarà proprio la città. Io non voglio colpevolizzare i manifestanti, spero solo che la situazione torni alla normalità, ma va detto che noi cinesi continentali, presenti a Hong Kong in gran numero, siamo spesso vittima di discriminazione quando ci sentono parlare mandarino (lingua nazionale cinese) invece del cantonese (lingua parlata a Hong Kong, oltre che a Macao e nella provincia del Guangdong); a volte semplicemente ci deridono, altre volte subiamo vere e proprie aggressioni, anche se a me per fortuna non è mai capitato un espisodio tanto spiacevole”.
In tutto ciò cosa pensano i cinesi di ciò che sta succedendo a Hong Kong? Premesso che la stampa cinese riporta tutte le affermazioni provenienti dall’estero a sostegno dei manifestanti solo per denigrarle, e che fa molta propaganda contro i manifestanti e a favore della polizia di Hong Kong (diversamente dai media di Hong Kong, alcuni dei quali ferocemente anti-governo, come il South China Morning Post), ho raccolto un paio di opinioni.
“Io sono di Pechino, e noi delle grandi città non diamo peso alla propaganda del nostro governo, al contrario degli abitanti delle piccole città e delle aree rurali dove la gente si beve tutto ciò che gli viene detto dal regime”, ci dice W.W., trentacinquenne uomo di affari. “Io per affari viaggio spesso in Canada e negli Stati Uniti, e devo dire che se uno non si interessa di politica, nelle città cinesi più sviluppate può vivere come nelle grandi città canadesi e americani, che per me sono meno sicure, anche se sicuramente meno inquinate. Hong Kong ha una storia diversa dalla nostra, e nonostante i cittadini lì godano di maggiori libertà rispetto a noi cinesi continentali, vogliono comunque più democrazia, ma temo per loro che non otterrano nulla di ciò che chiedono. A me dispiace, perché so già che a causa della nuova legge di sicurezza nazionale, noi cinesi saremo molto mal visti all’estero”.
“Quando ho visto i manifestanti bruciare bandiere cinesi e imbrattare lo stemma nazionale, mi sono sentita molto triste”, dice invece R.Y., studentessa ventiseienne proveniente dal Gansu, nell’Ovest della Cina, ma che attualmente è in Italia per motivi di studio. “Credo che queste persone non abbiano nessun sentimento patriottico, e pensino solo ai propri interessi individuali. Molti di loro sventolano le bandiere americane durante le manifestazioni, ma come si fa? Vogliono tornare a essere una colonia?”.
Queste sono le voci che sono riuscito a raccogliere, che unite a quelle di chi è sceso in piazza in questi mesi, possono aiutarci a capire cosa sta succedendo a Hong Kong, e cosa ne pensano coloro che vivono lì e i cinesi continentali.
Finalmente un articolo oggettivo sulla questione di Hong Kong. Libero dalla propaganda occidentale e da quella cinese.
Il mio punto di vista è sempre stato lo stesso, così come dice un intervistato nell’articolo:
“Chi richiede l’indipendenza, ignora che Hong Kong è da sempre parte della Cina, era solo stata data in concessione agli inglesi”.
Purtroppo gli Inglesi quando vanno via, lasciano solo caos (vedasi la questione israelo-palestinese).
I manifestanti sono strumentalizzati da poteri che possiamo solo supporre, ma sono strumentalizzati, così come lo furono i movimenti e le proteste delle primavere arabe.