«La modestia è invisibilità… Non dimenticarlo. È il non farsi vedere, il non farsi penetrare»

(Margaret Atwood)

Cara Te,

non mi ero mai accorta di quella casa verde acqua che troneggia nel bel mezzo del niente, diversamente lontana dalla mia finestra e non abbastanza vicina. Ha un colore che avrei ritenuto difficile da non notare, ma le chiacchiere stanno a zero: vivo qui da anni, ma quella casa in lontananza non l’avevo mai notata prima.

Forse perché è obiettivamente brutta o, più semplicemente, perché non avevo osservato tutto; mi assale così il timore delle mie possibili mancanze. Quanti luoghi, fisici o meno sono sinceramente sicura di aver osservato bene e chissà quanti dettagli, invece, mi saranno sfuggiti. Spero che queste involontarie disattenzioni, nel tempo, non abbiano causato disagio a nessuno, sebbene io abbia abbastanza dati per essere certa del contrario. Ma non è solo questo.

Sono improvvisamente preoccupata per tutto quanto le mie disattenzioni avranno causato a chicchessia, ma forse è anche il caso di pensare per una volta a me stessa e a quante cose, un’osservazione non attenta, mi ha sottratto.

Chissà se una vita sarà sufficiente per recuperarle tutte o, se mai, sarà “abbastanza” da consentirmi di vedere ancora e ancora. Di certo, non avrò mai il tempo necessario per conoscere tutto quanto c’è da conoscere: lo scibile umano è davvero un campo troppo vasto ed è anche una delle ragioni per le quali non riesco proprio a trovare una scusa valida per perdonarmi davvero.

Ma come si fa, dimmi, a perdonarsi l’umanità? A viverla come dato imposto da madre natura senza provare a superarla?  E quando poi ci si riesce, a superarla dico, ecco che il passo non è certo risolutivo, dal momento che l’atto stesso di superarsi, non fa che creare step ulteriori ed a mano a mano più perigliosi.

Va bene, te lo concedo, dopo ogni tappa sono più preparata, ma le fatiche di Ercole necessarie per andare avanti nella convivenza con una testa così, dove la mettiamo? Qui il limite non è più l’essere umani, ma l’incapacità di convivere pacificamente con quel qualcosa di invalicabile o, almeno, inarrivabile in maniera definitiva e, certamente, non nel corso di una sola esistenza.

A riprova del tutto c’è la casa brutta e verde acqua: una casa, santo Cielo! Una costruzione di cattivo gusto. Punto. E invece no, non può affatto essere punto; dev’essere riflessione, elucubrazione, pensiero, masticatio.

Se avessi la stessa verve davanti alle porte di una palestra, diventerei una culturista, ma non ridere, lo sappiamo che non sono nata per questo: nemmeno, però, la consolazione di poter dire di avere i neuroni legati a sinapsi muscolose. Ogni volta mi tocca ammettere che le mie legature cerebrali sono talmente flaccide da non poter arrivare ovunque. Che razza di presunzione vergognosa che ho e quanto è frustrante saperlo e non poterla vincere. Capisco di avere delle pretese un po’ al di sopra del concetto di umiltà, ma quella, l’umiltà, vive in un luogo sacro e venerato, mentre ciò che di fatto rifuggo è la modestia. Quella, obiettivamente, non è affar mio, come tutte le cose che esistono al solo scopo di essere false. Dai, i difetti me li porto dietro tutti, ma la finzione no: proprio non è nelle mie corde. Non puoi mica contarle le volte in cui ci ho rimesso l’osso del collo, pur di non fare finta.

D’accordo, non ho la stringente necessità di mettere il pane a tavola e ho potuto permettermi certe scelte, ma come mi sono sentita a posto con lo specchio quando ho girato le spalle anche al danaro, pur di non dover stringere alcune mani.

Stupida: beh sì, un tantinello. Ma non ho ancora imparato a tradirmi, dev’essere questo. E quindi preferisco passare per presuntuosa, non ho alcun interesse alle piaggerie, poiché penso che in definitiva il vero timore umano non sia fallire, ma accettare di poter essere potente.

“Siete figli di Dio, tuonava Mandela, sminuendovi non rendete un servizio al mondo… siamo nati per manifestare la gloria di Dio (…) non si trova soltanto in pochi eletti: è presente in ogni essere umano (…) quando ci liberiamo delle nostre paure, la nostra presenza rende liberi automaticamente coloro che ci circondano”.

E allora perché essere così inerti da cedere a certi compromessi con sé stessi, pur di trarne un profitto di qualsiasi genere, quando si può essere infinitamente più potenti dando a sé stessi l’impulso dei corpi in moto e non l’inerzia dei corpi in quiete? “D’altronde, quei corpi che comunemente sono considerati in quiete non lo sono sempre realmente”, e se lo ha detto Newton, possiamo fare anche il sacrificio di crederci.

Così mi rigiro verso l’esterno: chissà quanto forte è stata l’inerzia dell’architetto della casa verde acqua. È talmente brutta da farmi credere che quel tizio debba aver avuto proprio paura di dimostrarsi capace. Vedi perché, presumibilmente, non è proprio il caso di cedere? A forza di falsa modestia, si costruiscono inguardabili edifici.

Ti lascio ancora, cara Te; attendendoti, mi attendo. Non so dire neanche come credo potrebbe essere, ma mi piace sempre garantirti che ci risentiremo presto… oltre ogni modo, amica Tua

Calipso.

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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.