valeria

Non sono molte, ma talvolta arrivano, inaspettate, le occasioni per riacquistare fiducia negli uomini. È questa la riflessione che mi sono trovato a fare lasciando piazza San Marco dove avevo partecipato alla cerimonia di commiato da Valeria Solesin, la ragazza ventottenne, barbaramente trucidata da un gruppo di terroristi nella sala del Bataclan a Parigi il 13 novembre scorso.

La compostezza e l’equilibrio con cui la sua famiglia ha mostrato di vivere il proprio dolore ha portato alla luce il meglio della società, e non solo di quella veneziana. Subito, nel momento in cui si è avuta la tremenda certezza che la figlia era tra le vittime, il padre, Alberto, interpretando anche il sentimento della madre, Luciana, e del fratello, Andrea, ha saputo pronunciare parole commosse ma spoglie da ogni recriminazione, capaci di far sentire fuori luogo, stridente, qualsiasi tentativo di speculazione politica. Nei giorni successivi, il loro comportamento dignitoso, la sobrietà delle loro parole, hanno compiuto il miracolo di creare un clima di straordinaria partecipazione, riunendo un largo numero di persone in un dolore commosso e pensoso.

La stessa decisione di celebrare la cerimonia funebre nello spazio laico di una piazza non ha suscitato alcuna meraviglia, non ha provocato nessuna polemica, ma anzi ha reso possibile vivere un momento di unità tra tutti i cittadini, cristiani, appartenenti ad altre religioni o a nessuna. Tutti legati da un forte sentimento di empatia, convinti di poter trasformare un momento di cupo dolore, di lutto insopportabile in una opportunità di meditazione condivisa sulle radici profonde del male col quale ci stiamo confrontando.

Le autorità politiche e religiose presenti, il Presidente della Repubblica, rimanendo in un silenzio teso e sofferto, il Patriarca di Venezia, il Rabbino capo, l’Iman e il presidente della comunità mussulmana, prendendo la parola, hanno dato prova di uno stesso stile sobrio e commosso. La ministra della Difesa Pinotti, sola autorità politica a parlare, lo ha fatto sommessamente, leggendo il messaggio del Presidente della Repubblica francese, François Hollande, e ricordando le poche, strazianti parole che le aveva affidato il fratello di Valeria.

I tre rappresentanti delle comunità monoteiste, ciascuno con la propria sensibilità, hanno espresso un cordoglio forte e sincero, intriso di spirito ecumenico, di fratellanza nel dolore, culminato in un momento di preghiera, d’invocazione a quel Dio che è il Dio di tutti, al di là delle rispettive appartenenze.

Ma il momento più toccante si è avuto durante la successione di testimonianze, del padre in primo luogo, del fidanzato, e dei tanti giovani, familiari ed amici di Valeria, conosciuti ed amati a Venezia, la città dove è nata e cresciuta, a Trento, dove ha compiuto gli studi universitari, a Parigi infine, dove viveva da sette anni, preparando il dottorato e passando molte ore con i senza fissa dimora, i soli, a suo dire, con cui poteva veramente conversare.

Ascoltando le parole commosse ma anche coraggiose dei suoi amici, i molti adulti convenuti in piazza San Marco devono aver pensato quanto poco conosciamo i giovani di oggi. Forse, in tanta mestizia, le loro parole ci hanno fornito le vere ragioni per tornare a sperare.

Mentre la cerimonia volgeva alla conclusione sulle note possenti dell’Inno alla gioia, in un cielo che così azzurro è raro ammirare in questa stagione, un volo straordinario di gabbiani ci ha costretto a alzare gli occhi verso la torre dei Mori, che battevano le ore di un mezzogiorno tristissimo, certo, ma nel quale molti uomini si sono sentiti uniti e determinati a non arretrare e a riprendere, con pazienza e coraggio, la costruzione della convivenza e della pace.